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 2016  maggio 15 Domenica calendario

Duecento miliardi di dollari in lingotti d’oro: il più grande tesoro del mondo si trova a Londra. Anzi, sotto Londra

Un tempo, all’epoca delle migrazioni verso gli Stati Uniti, si affermava che in America le strade fossero lastricate d’oro: era un modo di dire, naturalmente. Una particolare zona di Londra, viceversa, è davvero lastricata con il prezioso metallo: solo che in questo caso l’oro è sotto il manto stradale, non sopra. Da qualche parte nel sottosuolo di Threadneedle street, la via simbolo della City, si dipana un labirinto di otto immensi caveau della Banca d’Inghilterra in cui sono custoditi lingotti per un valore di duecento miliardi di dollari. Altri sotterranei corazzati, dislocati in siti della cittadella finanziaria e altrove, mantenuti rigorosamente segreti, salvaguardano un quinto delle riserve aurifere mondiali. Almeno trenta nazioni e venticinque grandi banche internazionali preferiscono parcheggiare il proprio oro nella capitale britannica: perché è la piazza più importante in cui viene acquistato e perché è considerata più sicura di altri posti. Le frotte di pendolari e turisti che affollano il quartiere lo ignorano, ma svariati metri sotto il marciapiede sul quale camminano è nascosto uno dei tesori più ricchi della Terra.
Per darci un’occhiata bisogna sottoporsi a un trattamento da film di 007: viaggiare su auto dai finestrini oscurati per non capire dove si va, consegnare il telefonino e ogni altra apparecchiatura digitale, passare attraverso un metal detector. Pesanti chiavi aprono serrature di cancelli d’acciaio: un sistema antiquato, ma preferito a codici elettronici più facilmente scassinabili dagli hacker. C’è ancora una barriera da superare: il funzionario incaricato della visita dice una frase in un microfono, un computer riconosce la voce, l’ultima porta si apre. Manca solo che ti mettano un cappuccio in testa. Quando per così dire te lo levano, la visuale ricompensa di ogni restrizione e controllo: uno stanzone pieno di file di lingotti d’oro a perdita d’occhio, perfettamente allineati su scaffali numerati di colore blu, ciascuno leggermente diverso dall’altro, ma tutti con lo stesso peso (circa dodici chilogrammi) e lo stesso valore (mezzo milione di dollari). Il caveau è immenso, con una ragione: Londra, diversamente da altre città, giace su una superficie d’argilla. Se i lingotti fossero disposti da terra fino al soffitto, il terreno gradualmente cederebbe sotto il loro peso. Perciò ce ne sono al massimo sei uno sull’altro, dall’alto in basso, e serve spazio in orizzontale per ospitarne abbastanza. Da fuori non arriva alcun rumore: le pareti sono di cemento armato, a prova di bomba. L’aria sembra immobile. E non c’è alcun odore: pecunia non olet, come dicevano i latini, ma in senso letterale. Pare di essere nel forziere di Paperon de’ Paperoni.
Eretti negli anni Trenta, originariamente i sotterranei di Threadneedle street erano la mensa degli impiegati della Banca d’Inghilterra. Durante la Seconda guerra mondiale, quando Churchill ordinò di trasferire le riserve d’oro in Canada nell’eventualità che Hitler conquistasse anche la Gran Bretagna, furono adibiti a rifugi anti aerei. Da allora queste cripte misteriose (si sussurra che ce ne siano anche al di fuori della City: tre sarebbero sotto la M25, la sterminata autostrada che corre tutto attorno a Londra) rappresentano una sorta di assicurazione contro le incertezze dell’economia globale. L’oro è l’unità di misura della maggior parte delle transazioni mondiali. Il suo prezzo è il barometro della fiducia dei consumatori. E come fonte d’investi- mento rimane in assoluto – è il caso di dire – la più solida: quando sui mercati cresce l’instabilità, le barre gialle diventano l’estremo riparo. L’equivalente di infilare i soldi sotto il materasso, ma su scala parecchio più grande: soltanto nei caveau della banca centrale inglese ci sono 5.134 tonnellate d’oro. E soltanto in un giorno, la compravendita dell’oro è un mercato da centoventi miliardi di dollari.
Non a caso, in tempi difficili il prezzo dell’oro sale. Le ansie subentrate all’attacco terroristico all’America dell’11 settembre 2001 lo fecero triplicare da 250 a 750 dollari l’oncia entro il 2006. L’anno seguente raggiunse per la prima volta i mille dollari, continuando a crescere con il collasso finanziario del 2008. È vero che dopo avere sfiorato i duemila dollari l’oncia (nel 2011), ha perso terreno e in certi momenti ha addirittura dato l’impressione di precipitare, ma fra le cause ci sono speculazioni e manovre occulte: come quella della Cina, che secondo gli specialisti non dice il vero sulle proprie riserve per far scendere il valore dell’oro e quindi acquistarlo al ribasso. Alcuni esperti, riporta il Financial Times, sono convinti che Pechino sia più vicina all’ammontare di riserve della Germania (3.400 tonnellate) che alle sue dichiarate 1.658. Come che sia, dall’agosto scorso, quando si trovava nuovamente a mille dollari, l’oro ha ripreso un’ascesa costante, toccando 1.250 dollari in marzo e 1.272 dollari nei giorni scorsi.
«L’oro tornerà a brillare», assicura Peter Schiff, capo di un fondo di investimenti. «È matematicamente garantito che crescerà», concorda il broker Bill Holter. «Con l’oro», spiega, «non devi avere fretta o giudicarlo a breve termine. Non hai altro da fare che chiudere gli occhi e sapere che il tempo è dalla tua parte». Non tutto l’oro del mondo, beninteso, viene coniato in lingotti come quelli che finiscono nei forzieri sotto la City. Soltanto il 32 per cento dell’oro mondiale è conservato sotto chiave per conto di governi, banche e investitori istituzionali: un altro 12 per cento viene usato per scopi industriali, per esempio nei circuiti elettronici, e più di metà è utilizzato per confezionare gioielli. Cina e India sono il più grande mercato per questi ultimi, rappresentando insieme oltre il cinquanta per cento della domanda mondiale: una tendenza recente, frutto della prodigiosa crescita economica delle due potenze emergenti, considerato che nel 2000 occupavano appena il dieci per cento del mercato nel settore. Ma non c’è gioiello che possa dare il senso di sicurezza di un lingotto: basti pensare che una sola di queste barre vale come il prezzo medio di una casa a Londra.
E a testimoniare il boom dell’oro contribuisce la recente apertura della prima “boutique” londinese di lingotti, dove chiunque può portarsene uno a casa – a condizione di avere una cassaforte altrettanto sicura dei caveau della Bank of England e una buona carta di credito (possibilmente “gold”). Il negozio si chiama Sharp Pixley ed è appropriatamente situato a St. James, il quartiere più aristocratico della metropoli, fra due celebri club privati per gentiluomini, White’s e Boodle’s, in un edificio di proprietà di lord Sugar, star della trasmissione televisiva The apprentice ( L’apprendista), versione inglese di quella americana condotta anni fa da Donald Trump. All’interno, l’atmosfera è appunto quella di un gentlemen’s club: mogano, ottone, enormi candelabri. I lingotti in vendita sono più piccoli di quelli custoditi nel sottosuolo della City, ma non tanto piccoli: ce n’è uno da un chilogrammo che costa 28mila sterline (37mila euro). E se più che un investimento vi basta portare a casa un souvenir, Sharp vende anche lingotti da un grammo: alla più modica cifra di 33 sterline (44 euro). Esibendolo al ritorno in patria, potrete comunque sostenere che a Londra le strade sono lastricate d’oro.