la Repubblica, 15 maggio 2016
Fare yoga nei boschi di Assisi. Reportage a margine del Giro d’Italia
Il suono delle campane tubolari si allarga a onda nei boschi di San Francesco. Felpe colorate invece del saio, lo yoga invece del Vangelo. «Ma il nostro maestro Paramhansa Hogananda ci ha insegnato che uno soltanto è lo spirito». Invece di parlare a lupi e uccelli, qui le persone parlano alle persone: a se stesse e agli altri. Ma anche in questo non c’è conflitto. «È come se la speciale spiritualità di questi luoghi fosse una radio, bisogna solo sintonizzarsi. Puoi essere induista o frate francescano oppure ateo». E accidenti se c’è campo.
La strada sale per sedici chilometri da Assisi a Gualdo Tadino in un tripudio di curve e fronde. Sorella pioggia stamattina ha deciso di sfogarsi. Un bene? Un male? «Dipende, come per ogni cosa», risponde Paolo Tosetto che in verità adesso si chiama Narya, è il suo nome spirituale e vuol dire “grande anima che scioglie gli ostacoli”. «Se sei un ciclista del Giro d’Italia, la pioggia ti pare brutta perché ti fa soffrire. Ma se sei un contadino di questi colli e hai appena seminato, la pioggia è gioia». Narya ha 58 anni, era industriale del vetro a Murano. E poi? «Volevo nutrire anche l’anima e ho scoperto Ananda». Cioè una delle più importanti comunità yoga al mondo, 6 centri negli Stati Uniti, uno un India e poi questo nucleo europeo a pochi chilometri da Francesco e Giotto. «Uno è lo spirito, una è l’accoglienza, una la necessità: amare ed essere felici». Quando Paolo era Paolo e non ancora Narya, ha preso sua moglie Laura, i figli Alessandra e Alberto, li ha portati per 6 anni al centro Ananda in California e da quasi trenta è qui, dove insegna materie che a scuola non si trovano: «Arte di vivere e meditazione. Invece mia moglie si occupa delle preghiere di guarigione, le chiedono malati di tutto il mondo e noi preghiamo per loro». I pellegrini salgono quassù con zaini e automobili, arrivano fino a duecento, più cinquanta persone che vivono sempre qui e lavorano, insegnano, meditano, e così sviluppano un “ora et labora” che forse non dispiacerebbe nemmeno a Papa Francesco: «Gli vogliamo molto bene, è un uomo aperto, necessario a questo tempo difficile». Però bisogna chiarire che lo yoga di Ananda non è quella cosa un po’ ginnica e talvolta modaiola che si allarga in città come alternativa a pilates, oppure a una bella dieta a zona. «Qui non facciamo fitness, qui curiamo corpi e anime. È chiaro che le posizioni yoga sono un tutt’uno con la meditazione». Che non sia un giochetto new-age lo spiega molto bene il programma della giornata, più intenso di un consiglio d’amministrazione giapponese. I soggiorni cominciano la sera, possono durare un weekend, una settimana o tutta la vita. Come assaggio, subito un quarto d’ora di meditazione, poi i canti e la cena in silenzio. Alle 21.30 tutti a letto, alle 6 del mattino la sveglia e quindi meditazione breve e guidata, colazione in silenzio, karma yoga, inizio dei corsi, pranzo (ma si può parlare), riposo, yoga, meditazione serale, cena in silenzio, preghiera, eventuale attività di chiusura: ieri sera, concerto di campane tibetane. Infine si dorme. Costo di una giornata, 50 euro. Vitto, alloggio e attività comprese.«Venite, prendiamo un caffè, c’è pure un’ottima torta vegana alle carote», dice Narya che mai più sarà Paolo. Lui e gli altri quarantanove vivono di quello che coltivano, producono e vendono a più di mille negozi, dalle candele agli oggetti per meditazione, stuoie, cuscini, panchette. «Alla fine dell’anno riusciamo a coprire le spese». In cima alla collina, il tempio circolare allarga le sue vetrate sui boschi. Oltre la porta, una bianca statua di San Francesco spalanca le braccia vicino al busto del maestro Yogananda. Alcuni ospiti entrano in silenzio. Emanano mitezza. Deborah Golub è la loro maestra delle undici del mattino: arriva da Denver, ha 62 anni ed è qui da 25. Oggi, il suo corso è “potere vibrazionale del suono, del mantra e della musica sacra”. Anche troppo facile sorriderne, però non è questo il modo per capire. Deborah da un quarto di secolo si chiama Gitanjali, che vuol dire “canto di offerta a dio”. Sorridendo moltissimo, spiega le altre sue materie: «Insegno anche “momenti di crisi e di svolta”, “karma e reincarnazione”, “autoguarigione”». Da cosa, signora Gitanjali? «Dalle abitudini mentali negative, dall’egoismo, dalla cattiva alimentazione. Però non siamo terapeuti, io propongo solo esercizi di ricarica contro la stanchezza generale. Anche se l’anno scorso avevo una brutta bronchite, e grazie alle mie tecniche di respirazione sono guarita in cinque giorni. Il segreto è trovare la quiete come nelle profondità del mare: sopra ci sono onde e tempeste, sotto è tutto fermo e tranquillo». Non c’è un modo soltanto per arrivare qui. Tiziano Tasselli l’ha fatto nel 2014, lui ancora non ha un nome spirituale, «non c’è obbligo, lo scegli quando ti senti». Anche Tiziano, a 32 anni cercava qualcosa: «Ne avevo parlato con un amico, poi ho digitato su Google la parola meditazione e ho letto la biografia di Yogananda, così la mia vita è cambiata». Adesso si occupa dei profili social di Ananda, cura le relazioni esterne proprio qui, dove tutto sembra invece interno, interiore. Sulla lavagnetta del refettorio c’è scritto “Buon giorno, grandi anime”. Le immagini dei maestri Yogananda e Swami Kriyananda, suo allievo e fondatore di Ananda ad Assisi (in sanscrito, ananda significa gioia), sono appese anche in cucina dov’è in corso una benedizione. Menù del sabato: riso integrale con tofu e verdure in salsa tahini e bietole al forno. Coordina Antonio Sliško, 26 anni, croato. Anche lui ha cambiato nome ed è diventato Arudra, che vuol dire gentile: «Sento di esserlo e di doverlo essere di più». È arrivato sui colli quando aveva 19 anni, a Zagabria studiava musica, «avevo tutto ma non abbastanza». Arudra è uno dei moltissimi giovani venuti a cercarsi qui: la metà dei visitatori ha meno di trent’anni. «Vogliamo una dimensione senza caos, senza conflitti e competizione. Il nostro non è un mondo perfetto, però ci sforziamo di renderlo migliore. È centrale servire il prossimo, non come forma di schiavitù ma come vicinanza profonda». Ad Assisi ha sposato Zoé, che faceva la cuoca e adesso è diventata Mahiya, che vuol dire “felicità gioiosa”. E tu, Arudra, sei felice? Il ragazzo spalanca due occhi azzurrissimi: «Sì, lo sono, mi sento felice e pieno. Ho riempito quel vuoto ma non aggiungendo cose, sono entrato dentro e ho cercato di capire cosa non funzionasse. La nostra è una natura di gioia. E se hai qualche ferita non devi coprirla con un cerotto, devi lavarla e pulirla bene».Sulla bacheca dell’ingresso, un volantino invita: “Stai connesso alla tua famiglia spirituale online”. Ma neppure un telefono suona, ogni parola è un sussurro, su questo strano pianeta si sono sviluppate forme di vita gentile. Però il giorno corre svelto, già è tempo dei corsi “il prossimo passo nei miei rapporti” e “intelligenza intuitiva”. Più tardi, un gruppo di pellegrini tedeschi andrà a trovare Giotto e Francesco. Sorella pioggia ha smesso di cadere, il mattino è uno splendore uguale per tutti.