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 2016  maggio 14 Sabato calendario

Un nuovo problema per il candidato Sala, riguarda ancora l’Expo

Un gomitolo – Carlo Emilia Gadda direbbe gnommero – avvolge Giuseppe Sala. Gioca tre ruoli in partita: candidato sindaco, commissario Expo, consigliere di Cassa Depositi e Prestiti. Difficile districare i tre fili in cui si è aggrovigliato. “Ho dato le dimissioni da commissario Expo il 10 gennaio”, sostiene l’aspirante primo cittadino del centrosinistra a Milano. “Le abbiamo ratificate il 18 gennaio”, dice Palazzo Chigi. “Manca però un atto d’accettazione delle dimissioni da parte del governo”, rispondono Marco Cappato e Gianluca Corrado, candidati sindaco dei Radicali e dei Cinque Stelle, che fanno partire esposti e ricorsi.
E poi ci sono atti Expo firmati da Sala ben dopo la data delle dimissioni: il 3 febbraio (Rendiconto 2015) e addirittura il 27 aprile (Situazione dei conti Expo al 31 dicembre 2015 e 18 febbraio 2016). Questi ultimi revocano le dimissioni e rendono Sala incandidabile. A sostenerlo è il professor Francesco Saverio Marini, ordinario di Diritto pubblico all’Università di Roma Tor Vergata, che quotidianamente ha a che fare coi gomitoli della legge e della Pubblica amministrazione.
“L’ineleggibilità è regolata dall’articolo 60 del Tuel, il Testo Unico Enti Locali”, spiega Marini. “Non sono eleggibili a sindaco e altre cariche, nel territorio nel quale esercitano le loro funzioni, i commissari di governo e altri funzionari dello Stato”. Le dimissioni però annullano l’incandidabilità e Sala le ha date il 10 gennaio 2016 con effetto dal 1° febbraio. Sono state protocollate da Palazzo Chigi il 18 gennaio, ha fatto sapere la Presidenza del Consiglio. “Sì, il comma 3 chiarisce che le cause di ineleggibilità non hanno effetto se l’interessato cessa dalle funzioni per dimissioni o altro”, prosegue il professor Marini. È però necessario un atto che accolga le dimissioni. “Sì, il comma 5 aggiunge che la Pubblica amministrazione è tenuta a promulgarlo entro cinque giorni dalla richiesta”. In questo caso la Presidenza del Consiglio non ha promulgato nulla. “Ma ove l’amministrazione non provveda”, prosegue il comma 5, “la domanda di dimissioni ha comunque effetto dal quinto giorno successivo alla presentazione”. Fine della polemica? No, argomenta Marini: “Deve esserci, dice la legge, anche ‘l’effettiva cessazione delle funzioni’. E il comma 6 aggiunge che la cessazione delle funzioni esige la ‘effettiva astensione da ogni atto inerente all’ufficio rivestito’. Se ci sono atti d’ufficio compiuti dopo le dimissioni, questi le interrompono e dunque rendono incandidabile il commissario”.
Sala dunque è “tornato” commissario di governo quando ha firmato il Rendiconto del 3 febbraio e la Situazione del 27 aprile. E ciò lo esclude, secondo la legge, dalla competizione elettorale. È l’aspetto giuridico di una vicenda politicamente perfino ancor più complessa. Lo gnommero sarà forse roba da azzeccagarbugli, ma le regole sono regole e devono valere per tutti. Certo la politica è stata incauta a lasciarsi avvolgere dai fili delle incompatibilità. I vertici del Pd, con la candidatura Sala, si sono messi in una situazione che ogni giorno procura nuove preoccupazioni e fa perdere qualche voto. Qualcuno comincia a pentirsi della scelta fatta, dovendo impegnarsi in una campagna elettorale tutta in difesa, giocata non per convincere gli elettori di quanto è bravo Sala, ma di quanto è pericoloso il centrodestra (il “fascioleghismo”).
Ormai però, a questo punto, è praticamente impossibile tornare indietro. Avevano ipotizzato una marcia trionfale di Mr. Expo verso Palazzo Marino, sospinto dal vento gagliardo dell’Esposizione universale e, fino a qualche settimana fa, senza concorrenti di un centrodestra in confusione. Invece Sala è stato avvolto dai fili delle sue leggerezze, delle sue incompatibilità, delle sue “dimenticanze” (dalla casa in Svizzera agli affari in Romania). “È fango che mi gettano addosso gli avversari politici”, reagisce. Ma, a guardare i fatti, molto ha fatto da sé.
Ora, con quell’atto del 27 aprile diventato un boomerang, Sala ha firmato finalmente anche i conti di Expo. Buoni, dicono i sostenitori. Ma evidenziano che nell’operazione Expo sono stati impiegati 2,2 miliardi di fondi pubblici e che i ricavi (biglietti, sponsorizzazioni, royalties) sono solo 700 milioni, in parte non incassati. Non un grande risultato, per chi vorrebbe far pesare la propria immagine di manager. E poi: perché il bilancio l’ha firmato Sala, che il 27 aprile non era più né amministratore delegato né commissario? Perché non l’hanno sottoscritto i nuovi amministratori che lo hanno sostituito? “Sono atti formali che si fanno”, risponde Sala. Ma si fanno se contemporaneamente non si è candidati sindaco, altrimenti si viene risucchiati nell’incandidabilità.