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 2016  maggio 14 Sabato calendario

Possiamo fidarci di Facebook?

Le accuse di manipolazione a fini politici del ranking degli argomenti popolari in Facebook hanno innescato nuove preoccupazioni sull’influenza dei giganti della Silicon Valley. Da Menlo Park è secca la smentita sulla possibilità che i suoi «news curator» abbiano alterato la lista dei Trending Topic (uno strumento non disponibile in Italia, ndr) introducendo notizie poco popolari e discriminando i repubblicani.
Tom Stocky, a capo del team responsabile della sezione, ha spiegato in uno stato che i computer generano un elenco degli argomenti più discussi in rete, ma che persone in carne e ossa perfezionano la selezione rimuovendo doppioni, bufale e altra spazzatura. «Non abbiamo trovato alcuna prova concreta a sostegno di quanto denunciato», taglia corto. Tutto nasce dalla stoccata del blog di tecnologia americano Gizmodo, che ha dato voce a ex freelance di Facebook che hanno voluto mantenere l’anonimato.
Il mondo accademico ricorda che la scelta di servirsi di redattori umani insinua inevitabilmente dei pregiudizi più o meno cosci. Molti hanno esortato Zuckerberg a rivelare di più sul funzionamento di questa sezione. «La polemica riguarda il potere di influenza e gestione delle informazioni di Facebook», sintetizza Jason Turcotte, professore di comunicazione alla California State Polytechnic University di Pomona, «deve garantire la trasparenza del meccanismo di filtraggio dei contenuti e sulle decisioni di produzione della notizia, ma credo anche che possa rimanere una piattaforma per la libera circolazione di idee e prospettive senza sacrificare la responsabilità giornalistica», conclude.
E i curatori «devono essere consapevoli delle motivazioni alla base del vaglio delle fonti, conservatrici o liberali che siano». Naturalmente gli algoritmi che svolgono gran parte del lavoro di selezione e di classificazione sul noto social e su altri siti web sono scritti da persone.Ma Facebook modifica l’algoritmo del news feed – il flusso di notizie, immagini, video e pubblicità che accoglie gli utenti all’accesso – più o meno una volta al mese, confondendo utenti e operatori marketing. Nel 2014 aveva ammesso il rimaneggiamento dei profili di quasi 700 mila iscritti con lo scopo di valutare le reazioni a post di connotazione prevalentemente positiva o negativa. La rivelazione ha suscitato una rabbia diffusa tra gli utenti che si sono sentiti trattati alla strenua di cavie da laboratorio.
Tuttavia, l’ultima disputa non riguarda le notizie proposte, ma la funzione Trending situata a destra del news feed sulla pagina desktop di Facebook, e che appare sull’applicazione mobile quando un utente digita la barra di ricerca. «Gli algoritmi di trending identificano modelli nei dati, ma non riescono a darvi un senso», ha scritto Tarleton Gillespie, professore associato del Dipartimento di Comunicazione della Cornell University e affiliato a Microsoft Research. Isolano parole e frasi che compaiono con maggiore frequenza su Facebook, ha scritto in un post di lunedì, «ma c’è molto di più da regolare». Un esempio? Un algoritmo potrebbe non essere all’altezza di distinguere se tra i post su Beyoncé e quelli sul nuovo album Lemonade intercorra una correlazione.
Ma Gizmodo ha sollevato un polverone. Il presidente della Commissione Commercio del Senato Usa, John Thune, repubblicano del Sud Dakota, ha inviato una lettera a Mark Zuckerberg chiedendo espressamente indicazioni sulla logica alla base della definizione degli argomenti di tendenza e chi è il responsabile ultimo per l’approvazione del contenuto. Oltre a Washington, l’inchiesta ha riacceso i timori legati all’inconsueto potere di Facebook di modellare la mentalità dei suoi 1,6 miliardi di utenti per i quali il social è una lente che filtra il mondo. Stando a uno studio del Pew Research dello scorso anno, il 61% degli americani di età compresa tra i 18 e i 33 anni è stato deliberatamente esposto a determinate notizie politiche. Una ricerca pubblicata sempre da Pew sulla fruizione delle notizie mediante smartphone ha concluso che «Facebook ha indubbiamente la capacità di reindirizzare i lettori verso siti di notizie più di qualunque altro social media». Gizmodo, citando un ex redattore del progetto Trending, ha rivelato che Facebook ha eclissato articoli sulla Conservative Political Action Conference, nonché su Mitt Romney, Rand Paul e altre tematiche vicine all’area politica conservatrice, «anche se dall’utenza registravano una diffusione sistematica». Il blog racconta anche dell’esclusione di articoli di testate vicine al pensiero repubblicano come Breitbart, a meno che siti più trasversali – sul genere di New York Times, Bbc o Cnn – non avessero coperto la stessa notizia.
Nella replica, Stocky ha illustrato che i temi popolari sono compilati da un algoritmo e poi validati dai moderatori, specificando che Facebook ha eseguito una verifica interna sulla tesi avanzata da Gizmodo per la quale i curatori abbiano deliberatamente promosso l’hashtag #BlackLivesMatter, per esempio. Gawker Media, a cui fa capo il blog di settore, martedì non ha ritrattato. «Siamo orgogliosi dell’indagine accurata e puntuale di Mike Nuñez sull’oscura procedura responsabile della scelta delle notizie degne di nota», insiste John Cook, caporedattore di Gawker Media.
Comunque la reazione di Manlo Park non ha sedato l’ira dei conservatori, che si sono scagliati contro il social network, e di riflesso contro l’intera Silicon Valley. «Facebook deve rispondere della censura anti-conservatrice», ha twittato il presidente del comitato nazionale repubblicano, Reince Priebus. In un’intervista, Thune ha definito l’affare un caso di tutela dei diritti dei consumatori. «Vogliamo sapere, e chiarire, se per determinare i Trending Topic è utilizzato un algoritmo oggettivo; se il messaggio al popolo americano è: «Siamo un organo di informazione obiettivo che non adotta una discrezionalità editoriale», questa linea deve essere seguita», queste le parole del senatore. Invece, Adam Jentleson, portavoce del senatore democratico Harry Reid, ha giudicato fuori luogo l’intervento, attaccando il Senato a maggioranza Gop: «Il Senato si rifiuta di tenere dibattiti sulla questione del giudice Garland, si rifiuta di finanziare gli aiuti per il virus Zika richiesti dal presidente e si è preso il maggior numero di giorni di riposo dal 1956, ma ritiene che le audizioni su Facebook siano una questione di massimo interesse nazionale».
(traduzione di Giorgia Crespi)