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 2016  maggio 14 Sabato calendario

Nicola Thorp, l’inglese licenziata perché non voleva camminare sui tacchi

Nicola Thorp, giovane e bella ragazza inglese per il suo primo giorno di lavoro in PricewaterhouseCoopers aveva scelto un paio di scarpe basse. Ignorava che il dresscode aziendale prevedeva tacchi fra i cinque e i dieci centimetri e, una volta scoperta la regola, ha tentato di resistere. Invano. È stata licenziata dall’azienda e non difesa neppure dai sindacati, e alla fine si è sfogata su Facebook diventando una piccola bandiera della libertà di scegliere occidentale. Sì perché se a tutte noi piace ogni tanto salire su uno stiletto, non vogliamo però essere schiave della dittatura del tacco 12. Azzardando si potrebbe paragonare l’imposizione del tacco a quella del velo? I codici e i condizionamenti storici sui corpi delle donne sono insidiosi e difficili da decifrare su entrambi i fronti, tanto che una delle più attente femministe arabe, la marocchina Fatima Mernissi aveva, nei suoi libri, paragonato il «loro» velo alla «nostra» taglia 42. E neppure troppo provocatoriamente: nella sua concezione rappresentavano due schiavitù opposte e parallele in cui si vuole ingabbiare il corpo della donna perché, argomentava Fatima, «l’immagine di bellezza dell’Occidente può ferire fisicamente una donna e umiliarla tanto quanto il velo imposto da una polizia statale in regimi estremisti». Immagine suggestiva e che ci può far riflettere sulle nostre contraddizioni, con la consapevolezza però che noi, con un hashtag su Facebook possiamo decidere di scendere dai tacchi, e trovare anche persone disposte a seguirci, come è stato per Nicola Thorp. La differenza sta tutta qui: noi possiamo scegliere, è Voltaire che lo reclama, e vogliamo che continui a essere così. «Voglio essere libera, libera come una donna» cantava Andrea Mirò al Tempo delle Donne 2015, reinterpretando la famosa canzone di Giorgio Gaber. È il caso di ricantarla?