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 2016  maggio 14 Sabato calendario

L’epoca delle stampelle della Bce prima o poi volgerà al termine. L’Italia deve imparare a camminare da sola in una nuova normalità

La domanda adesso non è se la Banca centrale europea abbia fatto abbastanza per l’area euro. Né in che misura la deflazione si sarebbe allargata a macchia d’olio, filtrando in profondità, se da Francoforte non si fosse agito come si è fatto. Prima la Bce ha portato i tassi verso lo zero; poi in negativo tassando le banche che non impiegano il proprio denaro; quindi ha avviato un programma che crea quasi duemila miliardi di euro da iniettare nell’economia; infine si è impegnata a remunerare le banche per i prestiti che estenderanno a famiglie e imprese dal mese prossimo fino al 2018.
Difficile sostenere che la Bce non ci abbia provato abbastanza. Ma la domanda dalla risposta meno ovvia oggi è quanto possa fare in futuro. Sul mese di aprile Italia (-0,5%), Francia e Germania (-0,2%) e Spagna (-1,1%) hanno tutte un tasso annuo d’inflazione negativo. Secondo Eurostat, l’Agenzia statistica europea, nell’area euro è in caduta dello 0,2% in aprile dopo lo zero esatto di marzo.
Sono dinamiche dei prezzi deboli più del previsto, sintomo di un’economia europea ancora convalescente. Fra gli altri problemi, rendono difficilissimo erodere il peso dei debiti nell’area euro. Lo ricorda lo stesso ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Nei primi tre mesi dell’anno la quantità in euro del debito pubblico molto probabilmente è cresciuta più di quella del prodotto del Paese. Difficilmente poteva andare altrimenti, se il calo dei prezzi erode l’aumento del fatturato. Né aiuta il fatto che l’euro abbia ripreso a rivalutarsi, rendendo meno costoso l’import e frenando l’export; persino per la Germania l’impatto netto delle vendite all’estero adesso è negativo.
Dunque torna la domanda: la Bce può fare molto di più? Non è scontato. Portare i tassi sui depositi ancora più sotto zero svaluterebbe l’euro ma, salvo nuovi choc, non sembra molto probabile che avvenga. Se anche il rendimento sul titolo di Stato di Berlino a dieci anni diventasse negativo (non ne è lontano), sarebbe in discussione la tenuta di alcune compagnie assicurative tedesche. E molte banche nel Nord Europa dovrebbero iniziare a spedire tutti i mesi assegni a casa dei clienti con mutui a tasso variabile, anziché incassare gli interessi. Difficile immaginare un mondo tanto capovolto.
La discussione per la Bce arriverà dunque in autunno, e riguarderà l’opportunità di proseguire oltre la scadenza di marzo 2017 il «quantitative easing»: il programma di acquisti di titoli di Stato, e in parte privati, per circa 80 miliardi ogni mese. Non sarà un automatismo. In dicembre scorso un barile di Brent costava 30 dollari; se alla fine di quest’anno sarà attorno ai 50, come plausibile, l’effetto immediato sarà una spinta all’inflazione nel brevissimo termine. Arduo in quelle condizioni convincere l’intero vertice della Bce a proseguire a pieno regime con gli interventi di mercato dopo il marzo 2017. Magari l’inflazione resterà strutturalmente troppo bassa. Ma il «quantitative easing», che fin qui ha sostenuto il debito italiano, potrebbe dover avviare una graduale ritirata.
Resta la speranza nella ripresa europea, che prosegue. In Germania inizia ad apparire più equilibrata, con un ritorno dei consumi delle famiglie. Forse aiuterà l’area euro in un assetto generale di bilancio meno restrittivo: in questi giorni lo stanno chiedendo a Bruxelles sia il premier giapponese Shinzo Abe, che il consigliere economico della Casa Bianca Jason Furman.
Ma il messaggio per l’Italia sarà chiaro: l’epoca delle stampelle della Bce prima o poi volgerà al termine. Il Paese deve imparare a camminare da solo in una nuova normalità.