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 2016  maggio 13 Venerdì calendario

I Bric stanno facendo una brutta fine

L’Olimpiade triste di Dilma Rousseff, avviata a processo ieri dal Senato brasiliano e sospesa dalla carica di capo dello Stato, non sarà una contesa di interesse solo latino-americano. Il Paese che la presidente ha guidato per oltre cinque anni si trova ad aprire i Giochi di Rio, il 5 agosto, con un vertice provvisorio, una situazione politica caotica, un’economia in caduta e una discussione lacerante sulla moralità delle sue classi dirigenti. Un passaggio che creerà tremori in tutto il continente. Ma è più di questo: è anche il racconto – probabilmente non l’ultimo – della fine del fenomeno dei Bric, della nuova fase della globalizzazione e delle responsabilità di cui dovrebbero farsi carico America ed Europa.
La crisi del Brasile è straordinaria. All’inizio del secolo, era uno dei quattro Bric, assieme a Russia, India e Cina: acronimo portentoso per descrivere le nuove potenze emergenti che stavano ridisegnando gli equilibri mondiali. Oggi, è nel pieno di una spirale verso il basso. Nel 2016, il suo prodotto lordo calerà dopo essere sceso del 3,8% l’anno scorso. Le accuse di corruzione e di avere manipolato i conti pubblici per vincere le elezioni rivolte alla signora Rousseff arrivano al tredicesimo anno dell’era del Partito dei Lavoratori di Lula, fenomeno quasi unico di sinistra vincente nel mercato globale. E aprono il problema delle regole e della qualità del governo nel Paese. Non è la fine del Brasile. Certo, tutto dovrà cambiare.
Così come tutto dovrebbe cambiare in Russia, per considerare il secondo dei Bric.
A nche qui, il crollo dei prezzi delle materie prime ha provocato, come in Brasile, il blocco e il rovesciamento della crescita economica. Situazione peggiorata dalle sanzioni occidentali imposte dopo l’annessione della Crimea voluta da Vladimir Putin. Ma a Mosca, come a Brasilia anche se in forma diversa, ciò che rende impossibile affrontare la crisi è la governance, il fatto che il potere non voglia e non sia in grado di correggere gli errori – nel caso russo un’economia quasi del tutto dipendente dal gas e dal petrolio – e di guidare il Paese fuori dall’enorme corruzione e dal sistema di spoliazione delle risorse nazionali a favore di un’oligarchia.
Qualcosa di simile vale per la Cina, di gran lunga il maggiore dei Bric. Per oltre 30 anni, il Partito comunista al potere ha espresso leader e burocrati di alto livello, capaci di controllare e guidare un’economia in crescita tumultuosa. La qualità dei mandarini rimane elevata oggi, sotto la leadership di Xi Jinping. Il dubbio che, però, in una fase di rallentamento dell’economia e di fronte all’accumulo di bolle finanziarie e immobiliari i vertici di Pechino non riescano a gestire la situazione è sempre più forte, in Occidente e in Cina. Anche qui un intreccio di dirigismo, corruzione e distorsioni nel sistema di governo raccontano che il maggiore protagonista della globalizzazione è di fronte a una crisi seria, che se sfuggisse di mano diventerebbe serissima per l’intero mondo. L’unico dei Bric a non soffrire, per ora, è l’India di Narendra Modi. Ma, anche a Delhi, la governance è un problema: corruzione, iper-burocrazia, tensioni tra governo e banca centrale per citarne alcune; tutti rischi per la crescita futura.
Il processo di impeachment di Dilma Rousseff dice insomma che i grandi emergenti hanno ormai corso tutto il tragitto che potevano coprire prima di riformare se stessi, darsi regole e rispettarle, costruire modelli sostenibili. Ed è qui che arriva il ruolo di America ed Europa. La globalizzazione a targa Bric è terminata, ne serve una in cui il commercio e il business prosperino in un ambiente aperto e fondato su regole. È per questo che la Partnership transatlantica Ttip oggi in discussione è importante: per evitare che la prossima fase dell’economia del mondo sia un’Olimpiade senza regole, dove si litiga invece di competere.