il Fatto Quotidiano, 13 maggio 2016
Il Salone del libro celebra i settant’anni della Longanesi
Indro Montanelli amava ripeterlo: dei grandi uomini che aveva conosciuto nel Novecento –vale a dire quasi tutti – solo uno aveva trasformato ogni sua impresa in un’opera di genio, e quell’uno è stato Leo Longanesi: “Il Carciofino sott’odio”, ma soprattutto “il Dottor Naso”. La regola non fa eccezione per la casa editrice che porta il suo nome e festeggia i 70 anni con l’antologia firmata da Pietrangelo Buttafuoco Il mio Longanesi (al Salone di Torino sarà presentata domenica alle 15).
È il luglio 1946 quando Longanesi si insedia nella sede milanese di via Borghetto da socio di minoranza dell’industriale Giovanni Monti. I mezzi sono infinitesimali rispetto a Rizzoli o Mondadori, ma il Dottor Naso ha dalla sua qualcosa che non si può comprare: il fiuto. Quello personale di illustratore e tipografo, quello di scegliersi collaboratori come Montanelli e Giovanni Ansaldo, e quello di annusare il talento altrui perfino all’insaputa di chi lo possiede. Su Omnibus aveva radunato le migliori penne d’Italia, dunque l’editoria sarà la prosecuzione naturale del giornalismo; il tempo di aprirsi alla narrativa internazionale, di varare Il libraio, un raffinatissimo bollettino in tabloid nell’era dei rotocalchi-lenzuolo, e di editare qualche titolo chiave del nostro Novecento, come Il cielo è rosso dell’esordiente Giuseppe Berto e Tempo di uccidere di Ennio Flaiano, di cui aveva fiutato non solo il genio ma anche la pigrizia. Flaiano non avrebbe mai finito quel suo primo e unico romanzo se Longanesi non gliel’avesse ordinato, dandogli tre mesi di tempo per scriverlo.
Nel 1956, Longanesi se ne va per dedicarsi all’ultima delle sue creature, Il Borghese; la direzione passa a Mario Monti e in via Borghetto inizia un declino che nemmeno l’introduzione della collana di economici, i Superpocket, riuscirà ad arrestare. Nel 1977, quando il patron delle Messaggerie Luciano Mauri acquisisce il marchio e ne affida la direzione a Mario Spagnol, decidendo così di farsi editore in proprio, la situazione economica è sull’orlo del baratro; ma per la Longanesi comincia una nuova vita. Spagnol, una lunga esperienza in Bompiani, Feltrinelli e Mondadori alle spalle, per la prima volta ha carta bianca e riscopre il “metodo Longanesi” a modo suo: con minor protagonismo ma identica libertà d’azione. “Lavorare con Spagnol è stata una grande scuola”, racconta il presidente del gruppo GeMs Stefano Mauri, che lo ha affiancato a partire dall’88. “È stato il primo della sua generazione a comportarsi come gli editor moderni, con un occhio alla qualità e un occhio al mercato. Ma che occhio. Un uomo di cultura, che tuttavia aveva il gusto del romanzo popolare”.
Occhio e fiuto; anche Spagnol era un Dottor Naso sempre a caccia di bestselleristi di ogni paese, la macchina da guerra Wilbur Smith in testa a tutti e poi Michael Ende, Isaac B. Singer, William Golding, James Patterson... “Quando si trattava di conquistare un talento in cui credeva era un seduttore impareggiabile”, ricorda Mauri. “Come quando corteggiò quello strano giornalista che scriveva sullo Spiegel ma era fiorentino e si chiamava Tiziano Terzani, e lo convinse che in lui c’era la stoffa dello scrittore. Sapeva remunerare il valore, ma aveva anche un’attenzione ai costi a dir poco oculata; non per nulla era nato a Lerici. Una volta gli chiesi: ‘Cosa pensate voi lericini dei genovesi?’. Lui allargò le braccia: “Ah, sono degli sciuponi…’”. Alla morte di Spagnol, nel 1999, la guida della Longanesi e del polo editoriale Mauri- Spagnol passa a Stefano Mauri e Luigi Brioschi: è la terza reincarnazione, sempre nel segno della continuità.
‘Il contrariodi quello che penso mi seduce come un mondo favoloso’: questa battuta di Longanesi è tutt’oggi la colonna portante del nostro lavoro, è anche per sottolineare questa continuità che abbiamo offerto la presidenza a un maestro di giornalismo ingli editor moderni, con un occhio alla qualità e un occhio al mercato. Ma che occhio. Un uomo di cultura, che tuttavia aveva il gusto del romanzo popolare”.
OCCHIO E FIUTO; anche Spagnol era un Dottor Naso sempre a caccia di bestselleristi di ogni paese, la macchina da guerra Wilbur Smith in testa a tutti e poi Michael Ende, Isaac B. Singer, William Golding, James Patterson... “Quando si trattava di conquistare un talento in cui credeva era un seduttore impareggiabile”, ricorda Mauri. “Come quando corteggiò quello strano giornalista che scriveva sullo Spie – gel ma era fiorentino e si chiamava Tiziano Terzani, e lo convinse che in lui c’era la stoffa dello scrittore. Sapeva remunerare il valore, ma aveva anche un’attenzione ai costi a dir poco oculata; non per nulla era nato a Lerici. Una volta gli chiesi: ‘Cosa pensate voi lericini dei genovesi?’. Lui allargò le braccia: “Ah, sono degli sciuponi…’”. Alla morte di Spagnol, nel dipendente come Ferruccio de Bortoli. Negli ultimi anni abbiamo aumentato l’a t t e nzione per la narrativa italiana, vuoi per volontà del direttore editoriale Giuseppe Strazzeri, vuoi perché le nuove generazioni degli scrittori di casa nostra hanno sviluppato una diversa sensibilità ai generi, si sono internazionalizzati, e poi grazie a Internet sono diventati più attenti al loro pubblico. Ma l’impronta di fondo del nostro catalogo resta quella del fondatore. Libera da ogni pregiudizio e ogni ideologia”. L’impronta che aveva folgorato il ragazzo Pietrangelo durante i safari tra gli scaffali della libreria di famiglia, a Leonforte: “Tra le mura domestiche ho sfogliato gli album, bellissimi, e i libroni tutti illustrati, i Mammut, i Pocket e poi tanti fascicoli del Libraio a cui devo la passione che mi portò ad aprire la Libreria del Mastro. Un’educazione sentimentale impossibile da rinnegare”.