ItaliaOggi, 13 maggio 2016
Signore e signori, Uber, Airbnb e Blablacar sono stati inventati dai napoletani
Signore e signori, è il momento di dire la verità. Uber, Airbnb e Blablacar li abbiamo inventati noi napoletani. Cinquant’anni fa. Assai prima della Rete. Con i miei amici negli anni 70 andavamo al Bar Ciro. Chiedevamo a Totore, il barista: «Toto’, oggi Peppino lavora?». Totore si affacciava nella tromba delle scale, dalla porticina interna del bar e dava una voce al piano di sopra: «Titi’, vedi se Peppino ci sta». E dopo tre minuti Peppino compariva con la sua vecchia 124 verde, e ti portava dove volevi tu, a metà prezzo. Mio padre diceva: statti attento, che quello è un tassista abusivo. E io, profetico, rispondevo: nossignore, Peppino sta fondando Uber.
Quando d’estate andavamo una quindicina di giorni a fare villeggiatura a Ischia, mia madre sbarcava al porto e cercava Carmelina, la sensale. La quale, da un anno all’altro, la riconosceva: «Signo’, che piacere! Quest’anno c’ho la casa giusta per voi!». Si contrattava un po’, e l’affitto per agosto era pattuito: tutto in nero, una casetta verso l’interno, un pezzo di giardino, nella casa a fianco la famiglia dei proprietari ristretta in meno spazio e la mattina le uova fresche del pollaio e i pomodori avvolti nella carta del giornale. Già, perché c’erano ancora tanti giornali di carta. Era l’embrione di Airbnb.
Qualche anno dopo, che meraviglia: diventato grande e grosso ho cominciato a muovermi con l’autostop. Avevamo inventato Blablacar. E quando la gente ci caricava a bordo non è che ci chiedeva di contribuire alla benzina – pezzenti! – ma ci portava a destinazione in cambio di quattro chiacchiere (blabla). Il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella ha citato Uber e i suoi fratelli come fenomeni dell’innovazione, affermando – lui, che è un regolatore – che «la normazione è nemica dell’innovazione».
Con tutto il rispetto, presidente, c’è innovazione e innovazione. Segnatamente, le grandi piattaforme di servizi disintermediati, di innovativo sul piano tecnologico hanno ben poco (bastano due server e quattro ragazzi smanettoni) e di vincente hanno un’idea vecchia come il mondo: fregare il fisco. Come il mio amico Peppino, tassista abusivo, la sensale Carmelina e tutti quelli con cui io e i miei amici a Napoli negli anni 70 ci autoriducevamo le spese, fotocopiando i libri di testo per non comprarli (oggi si direbbe «peer to peer») o clonando le videocassette per pagarle un quarto (oggi si fa con i Torrent).
A Napoli, non abbiamo aspettato il digitale per fare disruption. Segno che non tutta l’innovazione è di buona lega e che, soprattutto, senza regole non si riesce a distinguere il grano dell’innovazione vera dal loglio delle truffe socializzate.