la Repubblica, 13 maggio 2016
La sconfitta di Federer e l’Editto di Tessalonica. Cronache di Gianni Clerici dal Foro Italico
Fortunato nel ruolo di spettatore professionista, rintanato in una seggiolina in plastica del Centrale, ho potuto assistere a una giornata inattesa che soltanto la smemoria mi spingerà a dimenticare. Sono stato uno dei pochi a trattenere le lacrime per la scomparsa di Federer, ancorché nella mia tesi di laurea già mi fossi reso conto che l’Editto di Tessalonica aveva abbandonato più di una divinità in favore dell’unico campione superstite, Djokovic. Così scrivevo al tramonto, immemore di un match dello scorso anno, in cui Djokovic era stato messo in pericolo da un oriundo di nazionalità brasiliana, noto soltanto per lo stesso nome di una famosa diva, Bellucci. Era sopravvissuto, quel Djokovic all’esordio romano, per aver ritrovato un minimo dei suoi colpi, e insieme grazie all’incredulità di un tipo consapevole della propria collocazione in classifica, attorno al numero 40, come il brasiliano. Non potevo immaginare un avvio parzialmente negativo per chi definisco l’aspetto più credibile della Trinità, mentre già si era faticosamente salvato Nadal, dagli offuscati miracoli offensivi, ma ancora in grado di soffrire come il suo avversario, l’austro-greco- malese Kyrgios, non è stato capace.
La lacrimevole sconfitta di Roger, è stata causata, secondo i suoi fedeli, da un dolorino alla schiena, che l’aveva indotto ad annunziare una dubbia partecipazione. Il suo avversario, Thiem, ha dimostrato di esser sordo a simile ambigua possibilità, ed ha giocato come se si trovasse di fronte un Roger integro. Così facendo, ha sollevato dubbi in un mio vicino di posto, che, del tutto impreparato, mi aveva chiesto chi dei due fosse il vero Federer. Gioca, questo Thiem, che mi aveva incantato sino all’incredulità in un mini-torneo nella nativa Como, con colpi simili a quelli appresi da Federer nella scuola di Macolin. Il suo rovescio monomano è addirittura superiore a quello attuale del vecchio – ahimè – Roger, mentre non è ancora eguale il diritto, né il tocco. C’è però quanto può ricordare ai giovani spettatori del futuro un tennista creativo, e non oggetto di solo lift-bimane.
Detto di Federer, di Djoko, e indirettamente di Thiem, par giusto dedicare qualche riga al match tra un altro eroe della contemporaneità, e un altro tennista del prossimo futuro. El Nuevo Nadal, come l’ha chiamato un mio vicino spagnolo, è simile al Viejo soprattutto nella fasi difensive. Il Nadal di oggi non corre meno di quello di ieri, anche perché si rintana spesso negli angoli del campo, rendendolo così ancor più ampio. Appare invece meno irresistibile nelle aggressioni, in quel suo colpo che non ha tuttora eguali nel tennis, quella sorta di uncino che dal centro terminava nell’angolo avverso.
Kyrgios ha lamentato, come Federer, un dolore tra bacino e coscia che un chiroterapista è riuscito soltanto a lenire. Non è stato però questo che gli ha impedito di vincere, ma la ritrovata condizione atletica di Rafa, che ne ha reso vincente la difesa.
Per mancanza di ubiquità, non ho assistito al match più inatteso della giornata, in cui il lucky loser, e cioè perdente fortunato, Lucas Pouille, ha superato lo ex primo dei secondi, Ferrer. Secondo i miei amici dell’Équipe, l’imprevisto eroe «non ha punti forti né punti deboli, se incontrerà un grande perderà, se incontrerà un grande in mediocre giornata lo batterà».