Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  maggio 13 Venerdì calendario

I russi coprivano il doping con whisky e Martini

Whisky per gli uomini, Martini per le donne. Per un happy doping olimpico made in Russia. Bevi, campione, bevi. Hanno bevuto in cento. Sì da un po’ si sussurrava: di provette scambiate, di agenti segreti in laboratorio, di cocktail anabolizzanti che avevano irrobustito madre Russia ai Giochi invernali di Sochi 2014. Quelli voluti e organizzati da Putin, per riscattare il mediocre sesto posto di quattro anni prima. Ma ora ci sono le prove, c’è una gola profonda che parla, e non è un personaggio ininfluente, ma è Grigory Rodchenkov, ex capo del laboratorio antidoping russo dal 2005. Parla da Los Angeles, dove si è rifugiato, anche per paura, visto che i suoi due collaboratori sono morti in circostanze misteriose (attacco di cuore e incidente d’auto).
È il New York Times a rivelare le sue testimonianze visto che Rodchenkov è protagonista di un documentario che spiega come funzionava (e funziona) la supremazia sportiva russa. Con un robusto doping di stato. «Almeno 15 medaglie olimpiche a Sochi 2014 sono false: tra cui quelle della squadra dello sci di fondo e quelle del bob». Era lui a fornire la bottiglia e a dire agli atleti che dovevano mandare giù Chivas e Martini, per «coprire». E a Sochi come nei film di 007 c’erano gli agenti segreti che di notte entravano in laboratorio per sostituire la provette vere con quelle false. Rodchenkov è un chimico che s’inventava barman: «Il mio cocktail era a base di tre steroidi: metenolone, trenbolone and oxandrolone. Poi per far sparire le tracce un millilitro di alcol per ogni milligrammo di anabolizzante. Gli atleti sono come bambini, non protestavano e mandavano giù». Si vede che comunque c’era qualche astemio perché la Russia nel 2014 è il paese che ha avuti più dopati al mondo. Rodchenkov aggiunge che la preparazione per Sochi era iniziata nel 2013: «In laboratorio arrivò un uomo che lavorava per i servizi segreti russi e ci chiese quali erano le provette che si usavano per analizzare le urine dell’antidoping. Gli interessava soprattutto l’anello di metallo con cui venivano sigillate e ne prese un centinaio». A novembre quando Rodchenkov viene individuato dalla Wada come l’ uomo del mal funzionamento del laboratorio lui che fa? Corre a distruggere più di mille provette. Qualche mese dopo le autorità russe lo invitano a dare le dimissioni. Lui scappa a Los Angeles con l’aiuto di un filmmaker, Fogel, che ora sta girando un documentario, e inizia a dire che tutto lo sport russo è falso, brutto e cattivo. Infatti l’atletica russa è sospesa. Il 17 giugno il consiglio della Iaaf valuterà se ci sono le condizioni per riammetterla a Rio. Difficile pensare ad un’edizione olimpica senza la Russia, ma anche difficile pensare che il governo dello sport decida di rimettersi improvvisamente sulla buona strada. Chi voleva e sosteneva il doping è sempre lì. In alto. A cadere in basso sono solo gli atleti. Gli altri, se possono, scappano.