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 2016  maggio 12 Giovedì calendario

Il caso del ragazzo narcotizzato e violentato in cella, a Rebibbia

Lo hanno costretto ad assumere uno psicofarmaco tranquillizzante, poi l’hanno minacciato con un coperchio di latta puntandolo al collo e l’hanno stuprato sessualmente. A denunciarlo lo scorso marzo è stato un 22enne detenuto nel carcere di Rebibbia, gli aggressori sarebbero stati altri due detenuti di 20 e 24 anni. L’indagine dei carabinieri ha confermato la versione della vittima e hanno accertato che il 22enne era stato già oggetto di minacce e percosse da parte dei due.
Ma la violenza non si fermava solo a questo. I due si appropriavano anche degli oggetti e dei beni ricevuti dal ragazzo in occasione delle visite con i suoi familiari, lo avevano costretto a umilianti atti di servilismo finalizzati ad affermare la loro posizione di supremazia in ambito carcerario. I due sono stati trasferiti in altre carceri con tanto di provvedimenti disciplinari, e la stessa sorte è toccata anche agli altri detenuti che condividevano la stessa cella senza aver prestato soccorso alla vittima. Uno dei due detenuti – ora indagati per “violenza sessuale” e “atti persecutori” – era stato arrestato il novembre scorso in merito all’omicidio del manager tedesco Degenhardt Oliver, ritrovato assassinato all’interno della sua abitazione romana in via dei Volsci, nel quartiere San Lorenzo.
Quella degli abusi sessuali in carcere è un vero e proprio tabù, rispetto agli altri problemi legati al sovraffollamento e ai trattamenti inumani e degradanti che inducono molti detenuti a togliersi la vita. Violenze sessuali che vengono taciute, alcune volte, persino dalle associazioni umanitarie per un incomprensibile senso del pudore. Gli attivisti di EveryOne – un’associazione che si occupa dei diritti umani – tramite una ricerca hanno stimato che si verificano nelle case circondariali italiane almeno 3 mila casi di stupro e riduzione alla schiavitù sessuale ogni anno. È una dato che corrisponde al 40% degli stupri totali che avvengono in Italia. «Quando entri in carcere – hanno rivelato alcuni ex-detenuti a EveryOne – se sei giovane o comunque hai un aspetto gradevole, diventi necessariamente la “fidanzata” di un detenuto oppure vieni ripetutamente violentato da quelli che hanno più potere e considerazione nella gerarchia che esiste dietro le sbarre».
Ma non solo, gli ex detenuti hanno poi raccontato all’associazione che «molti ragazzi compiono atti di autolesionismo per sottrarsi a tali pratiche. Altri tentano il suicidio. La violenza su un giovane in carcere non è considerata un atto omosessuale, ma una manifestazione di forza virile e di potere. Non a caso, i detenuti omosessuali sono le prime vittime degli abusi».
Poi rivelano qualcosa di inquietante, dove si stenta fatica a crederci: «Alcuni direttori, le guardie e gli educatori tollerano questo stato delle cose, ritenendolo parte della pena da scontare, perché per molti di loro la prigione deve essere un inferno. Vi sono anche guardiani ed educatori che provano eccitazione, di fronte a questo mondo dominato da uno spietato sadomasochismo». Esistono diversi studi che dimostrano l’incidenza delle violenze sessuali rispetto ai tentati suicidi in carcere.
C’è inoltre una totale assenza di programmi di educazione e informazione sul sesso sicuro e sulle malattie trasmissibili sessualmente. Anche il Comitato di bioetica, in una relazione recente, denuncia il problema delle malattie sessualmente trasmissibili, con la popolazione detenuta esposta al contagio di malattie infettive, non solo legate a uso iniettivo di droghe, ma anche attraverso pratiche sessuali a rischio. Le testimonianze raccolte dagli attivisti di EveryOne scoperchiano il problema delle violenze sessuali in carcere.