Libero, 12 maggio 2016
Secondo il procuratore Scarpinato la Costituzione affida ai magistrati il compito di vigilare sui politici
Se un cronista giudiziario vuole vincere facile (cioè fare titolo) gli basta intervistare il procuratore di Palermo Roberto Scarpinato: depurata da fumisterie varie (qui il mestiere) una sparata mediatica resta sempre.
Ieri la vincitrice-facile è stata la specialista Liana Milella, che su Repubblica ha intervistato Scarpinato nel tentativo di contrapporlo al vice-presidente del Csm Giovanni Legnini, secondo i quale le toghe non dovrebbero schierarsi circa il prossimo referendum costituzionale.
Qui però ci sarebbe da introdurre un po’ Scarpinato: eloquio rococò, sembianze mefistofeliche, pettinatura che neanche Caselli, quando parla non si capisce una parola; nativo di Caltanissetta, ha rappresentato l’accusa nel fallimentare processo Andreotti e naturalmente scrive su Micromega e pubblica per Chiarelettere; è un antimafioso professionista ed è già autore di teorizzazioni arditissime: nel 2003, per esempio, spiegò che alla democrazia tutto sommato si potrebbe anche rinunciare: «Bisogna sospendere autoritativamente la democrazia elettiva aritmetica al fine di salvare la democrazia sostanziale… Nella nuova Costituzione europea bisogna pure porre il problema degli interventi politici e istituzionali, compreso, come estrema ratio, il commissariamento europeo nei confronti degli Stati membri i cui vertici dovessero risultare in collegamento con la criminalità organizzata». Lo scrisse appunto su Micromega: e, visto che nell’intervista a Repubblica straparla di Costituzione, forse lo dovevamo precisare. Scarpinato oltretutto è il magistrato che dal 1996 sostenne l’accusa nel fallimentare processo Andreotti assieme a Guido Lo Forte e a Gioacchino Natoli, questo prima di passare a elaborazioni tra le più incredibili: nell’inchiesta “Sistemi criminali” giunse a ipotizzare che tra il ’91 ed il ’93 Cosa Nostra avrebbe progettato di dividere il Meridione dal resto d’Italia grazie all’appoggio della massoneria deviata e dell’estrema destra, questo dopo essersi accordata in qualche modo con le leghe del Nord e prima di trovare un nuovo referente, alla fine del 1993, in Forza Italia. L’inchiesta – che strano – è stata archiviata.
Ma torniamo sul seminato. Diceva Scarpinato, a Repubblica, che i magistrati a proposito del prossimo referendum costituzionale non solo possono schierarsi, ma «debbono». Perché? Lo si evince dal titolo di Repubblica, ciò che l’intervistatrice voleva: «Il nostro compito è vigilare sui politici, fedeli alla Carta più che alla legge». Il che, messo così, non è una notizia, sono tre: cioè che i magistrati hanno il compito primario di vigilare sui politici (non sui cittadini, ergo anche sui politici) e poi che sono fedeli alla Costituzione più che alla legge: anche se la Costituzione dice proprio che i magistrati sono fedeli «soltanto» alla legge. Se non lo capiamo, dice Scarpinato, è perché «non è sufficientemente chiaro quale sia la reale posta in gioco che travalica di molto la mera contingenza politica», cioè non è chiaro «lo spartiacque storico tra un prima e un dopo nel modo di essere dello Stato, della società e della stessa magistratura». No, non è chiaro, in effetti: ma adesso Scarpinato ce lo spiegherà.
Si fa per dire, naturalmente. Prima infatti Scarpinato cita l’articolo 3 della Carta («rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale... che impediscono il pieno sviluppo della persona») e comincia a parlarne al passato; al che, dopo l’osservazione della Milella sul dettaglio che la prevista riforma non tocca la prima parte della Costituzione, Scarpinato insiste: «La seconda parte della Costituzione è strettamente funzionale alla prima... i padri costituenti concepirono nella seconda parte una complessa architettura istituzionale di impianto antioligarchico basata sula centralità del parlamento e su bilanciamento dei poteri». Chiaro? No: si continua a non capire il link, e tantomeno – osserva anche Liana Milella – si capisce perché tutto questo coinvolgerebbe le toghe. Allora Scarpinato risponde così: «All’interno di questo disegno veniva affidato alla magistratura il ruolo strategico di vigilare sulla realtà costituzionale delle contingenti maggioranze politiche di governo». Eh? Ma che sta dicendo? La magistratura come supremo gendarme del potere politico? E questo all’interno di uno strategico «disegno» deciso dai padri costituenti? E qui Liana Milella non gli offre un tavor, ma si limita a giudicarla «un’affermazione forte». E a chiedere: scusi, ma di quale «vigilanza» parla? E qui – la facciamo breve – Scarpinato scopre che le leggi devono essere conformi alla Costituzione e, in caso di dubbio, essere sottoposte alla Corte Costituzionale, ma poi – attenzione – fa il gioco delle tre carte e s’inventa che effettuare questo vaglio sia compito solo della magistratura e non di qualsiasi cittadino o direttamente della classe politica che le leggi le fa. Senza contare che la Corte Costituzionale non è un organo della magistratura, anzi, può giudicare costituzionali anche le leggi che secondo la magistratura non lo sono per niente. Nonostante le Corti Costituzionali siano di nomina politica, e siano presenti in tutto il mondo, Scarpinato nell’intervista definisce la loro esistenza «una rivoluzione copernicana». E qui, dopo la seguente frase: «Si è avviato un complesso e sofisticato processo di reingegnerizzazione oligarchica del potere che si declina a livello sovranazionale lungo due direttrici»; dopo questa, dicevamo, confessiamo di esserci persi Scarpinato ma, francamente, anche le notizie. Erano tre, sono rimaste zero.