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 2016  maggio 12 Giovedì calendario

La Germania che critica la Bce si sente come Asterix

Chi critica la Bce si sente come Asterix o Obelix, insomma «come in un villaggio gallico». Ieri l’ex capo-economista della banca centrale, Otmar Issing, ha citato il fumetto francese che racconta le avventure di un piccolo villaggio di Galli assediatio dai Romani, per difendere il suo diritto e quello dei tedeschi di attaccare Draghi. Neanche si rende conto quanto sia rivelatoria quella metafora. La Germania ha sempre una posizione eterodossa, rispetto al resto del mondo. Per citare soltanto i casi più clamorosi: litiga da anni con Fmi e Usa sugli eccessi di austerità; litiga con i Paesi del Sudeuropa e con la Francia quando non rispettano le regole europee sul bilancio; litiga con la Bce per i tassi troppo bassi; litiga con il resto dell’eurozona per le regole sulle banche, ma anche sulle ricette per riavviare la crescita. È sola, ma si sente come Asterix. L’atteggiamento di Issing è tipico. E, a dimostrazione che hanno ragione, i tedeschi citano se stessi. Hanno il pareggio di bilancio scolpito come le Tavole della Legge nella costituzione, tassi di crescita sani, una dinamica tumultuosa dell’export, una quota di occupazione stellare. Siccome la Germania continua ad avere il turbo, non può essere la Germania a sbagliare. E pazienza se con un export così, principale motore della sua economia, è matematicamente impossibile mettersi alla pari. E sembra quasi ironico che Berlino consigli agli altri di fare altrettanto. E pazienza anche, se la quota di investimenti sul Pil continua a scendere e i consumi hanno cominciato soltanto di recente ad alzare la testa. Marcel Fratzscher, economista tedesco ma keynesiano – dunque minoritario – ha raccontato in un bel libro che per vent’anni, quando girava per consessi internazionali, era costretto a giustificare sempre “l’eccezione tedesca”, il loro modo di vedere le cose. È stato lui a rivelare in quel libro che la Germania ha un problema drammatico di mancati investimenti e che è vero che esiste una quota dell’industria straordinaria, votata all’export e potente, ma che esiste anche una fetta non irrilevante di aziende tedesche che hanno mantenuto una produttività alta, in questi decenni, soprattutto grazie alla moderazione salariale. E due anni fa fece scalpore la notizia che il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, avesse quasi esortato i sindacati in un incontro a porte chiuse a osare di più, nei round negoziali per i rinnovi contrattuali. Ogni tanto, qualche lampo viene anche ai più ortodossi. Un altro economista “non allineato” è Peter Bofinger, fuori dal coro anche quando parla a nome dei “cinque saggi” di Angela Merkel. Secondo l’economista di Wuerzburg è la tradizione ordoliberale a rendere la Germania isolata. Ma Martin Wolf ha messo in guardia ieri sul Financial Times dai rischi attuali di questo rabbioso isolamento, ad esempio negli attacchi contro la Bce. La Germania «è incapace di assorbire quasi un terzo dei risparmi nell’economia domestica, nonostante i tassi ultra-bassi», ha scritto. E invece di capire che ha un problema di mancati investimenti, continua ad aggredire chi, come Mario Draghi, sta facendo di tutto per farli ripartire.