Corriere della Sera, 12 maggio 2016
L’iPhone, lo smartphone più amato dai criminali (a Bari come a San Bernardino)
Un iPhone 6 Plus di un 30enne afghano. Le informazioni potenzialmente rilevanti per seguire le tracce dei terroristi che restano imprigionate al suo interno. E le indagini che (per ora) rimangono fuori. Anche a Bari si ripete il copione di San Bernardino – dove Fbi e Apple si erano scontrate duramente – con il rischio che l’iPhone diventi una sorta di «smartphone più amato dai criminali». Forse, anzi, è già così (una eventualità sulla quale la società di Cupertino dovrebbe riflettere). Ora se vogliamo il caso di Bari conferma una cosa che già sappiamo ma in un contesto nuovo: la ricerca di un equilibrio tra privacy e sicurezza non è nuova ed è propria delle società democratiche e liberali (nel regime comunista la sorveglianza era considerata più importante, nella bilancia del potere, rispetto ai diritti individuali. E ancora adesso questo approccio si ritrova nel controllo cinese della Rete). Ma oggi questo antico scontro sembra poter essere confinato tutto nella memoria di un iPhone che così assume un valore simbolico in questo trade-off: lo smartphone può essere strumento di sorveglianza in un contesto da Grande fratello ma allo stesso tempo può essere la nostra migliore difesa e garanzia di privacy grazie alla propria inviolabilità tecnologica. Eppure, ed è questo il nocciolo della questione, non si può negare il legame sempre più stretto tra efficacia delle indagini e tracce digitali: vale la pena ricordare che allo smantellamento della cellula di terroristi legata all’Isis si è arrivati sempre grazie a un telefono, quello del sospetto fermato il 16 dicembre mentre stava filmando l’interno di una Ipercoop nel pieno centro di Bari. Tra immagini salvate, messaggi, coordinate delle celle telefoniche che permettono di ricostruire una mappa degli spostamenti e cookies, i telefoni intelligenti sono un concentrato di indizi difficilmente replicabile.