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 2016  maggio 12 Giovedì calendario

«Ho ottant’anni, spero di aver preso da mia madre, morta a cento». La giornata di Woody Allen a Cannes

«La vita è una commedia scritta da un autore sadico». È la battuta migliore di Café Society di Woody Allen, film d’apertura del Festivalone, cordialmente applaudito da una platea dove molti pensano che Woody faccia sempre lo stesso film. 
Le Monde però approva: «A chi ripete che Allen gli piaceva più prima si può rispondere che stavolta il film è proprio come quelli di prima». Fatto sta che Allen torna sulla Riviera per la dodicesima volta, quindi, esagera il direttore del Festival, Thierry Frémaux, «sta a Cannes come Molière alla Comédie Française». Mai in concorso, però: «Non credo nella competizione in ambito artistico. Si può giudicare se Matisse è meglio di Picasso?», chiede lui.
Nel film siamo negli Anni 30 e l’alter ego del nostro è Jesse Eisenberg, ragazzo ebreo di New York (guarda caso) che scappa da una famiglia conflittuale con Jewish Mama opprimente e fratello gangster per cercare la sua strada a Hollywood, dallo zio Paperone magnate degli studios. Purtroppo si innamora di Kristen Stewart, la segretaria-amante appunto dello zio. Lei ricambierebbe anche, ma dopo qualche tira e molla alla fine sposa lo zio; lui torna a New York, fa fortuna con un locale notturno e figli con Blake Lively. Si rivedono, si riamano, ma è troppo tardi («L’amore non corrisposto fa più vittime della tubercolosi»): finale aperto, o forse irrisolto, sicuramente malinconico, con la coppia mancata che festeggia il capodanno separata, alle due estremità degli States (ah, e per inciso il fratello criminale finisce sulla sedia elettrica, convertendosi in extremis. E la mamma tremenda: «Prima assassino e poi cristiano! È troppo!»). Bei costumi, tanto jazz, grande fotografia di Vittorio Storaro («Un genio», parola di Woody): insomma, un Allen dei più tipici. 
Lui poi si appalesa in conferenza stampa con le sue rispettosissime star, sempre più fragile, parla a voce bassissima, non fa quasi battute, pasticcia con l’auricolare, però rassicura: «Ho ottant’anni ma, a parte qualche problema di udito, sono in forma, mangio bene, faccio esercizio. Mia madre è morta a poco meno di cent’anni, mio padre a poco più: spero di aver ereditato la loro longevità. Finché troverò qualcuno che mi finanzia, e la cosa mi ha sempre stupito, continuerò a fare film. Poi, certo, domani potrei avere un infarto. Mi metterebbero sulla sedia a rotelle dicendo: ecco, quello era Woody Allen…».
Un Allen un po’ crepuscolare, magari. Lui, considerato un cinico, si considera un romantico: «O almeno cerco di esserlo e di fare film romantici. Del resto, è quello che hanno sempre pensato le mie donne. Poi, certo, questo film è un omaggio a quelli che vedevo da ragazzo, alla Hollywood Anni 30. Amo quel cinema, sono cresciuto con lui».Resta il fatto che nei suoi film la relazione è sempre fra un uomo più anziano e una ragazza più giovane: la vedremo mai raccontare la storia d’amore fra una cinquantenne e un ventenne? «Perché no? È che in quell’ambito non ho molta esperienza, ho sempre avuto delle compagne più giovani. Anche se a 30 anni mi innamorai di una donna di 50, ma era sposata».
Insomma, il film tutto sommato è piaciuto, lui è romantico, a Cannes ci sta bene. A rovinare la festa provvede Ronan Farrow, l’unico figlio biologico avuto con Mia (o forse no, lei una volta disse che il padre era in realtà il marito precedente, Frank Sinatra). Ronan pubblica sull’Hollywood Reporter una durissima lettera di accuse contro il padre, riesumando lo scandalo delle presunte molestie sessuali ai danni della figlia adottiva, Dylan Farrow. Ronan ce l’ha con il suo «padre-cognato» (in quanto marito di Soon-Yi, altra figlia adottiva da Mia) e anche con i media, che festeggiano l’artista ma, a suo dire, non investigano sul presunto orco. Però i fatti risalgono al 1993 e il caso, almeno quello giudiziario, è chiuso.
Infatti ieri a Cannes l’atmosfera per Woody era quella dell’omaggio al venerato maestro. La certezza, tutto sommato confortante, è che, finché morte non li separi, a ogni Festival ci sarà sempre, immancabile, l’annuale film di Allen (che poi ricordi molto quelli precedenti, lo pensano un po’ tutti e molti lo dicono pure, ma sottovoce. Nessuno vuol fare la figura del cane che fa pipì sul monumento).