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 2016  maggio 12 Giovedì calendario

Una malinconica giornata storica a favore di telecamera

Mattia Feltri per La Stampa
Che cosa sono queste file all’ingresso di Montecitorio? Ogni giorno, sempre più: oratori di piccoli convegni, accreditati a conferenze stampa, soprattutto visitatori del Monumento al Collasso, dove in aula si fa campagna elettorale se c’è la diretta tv e se non c’è si fa atto notarile: come ieri. Poi quelli alla Maurizio Bianconi, onorevole ex berlusconiano ora con Raffaele Fitto, che martedì aveva detto al ministro Maria Elena Boschi tutto quello che pensava di lei, arrivata alle 14.08 ad annunciare la fiducia e alle 14.11 «ha girato il sedere e se n’è andata», ecco, quelli alla Bianconi s’infervorano. «L’inutilità delle democrazie parlamentari non è un processo ineluttabile, ve lo fanno credere quelli della grande finanza per annullare la rappresentanza popolare». Le stesse idee del procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato. «E che vuole dire?», salta su Bianconi. «È il teorema Boschi, chi vota no al referendum costituzionale vota come Casapound. Cioè: tua moglie è una donna? È come Cicciolina». E avanti di bel passo, «st’avvocatina di Arezzo, che mai ha fatto nemmeno la consigliera comunale di Laterina, questa franchista, arrogante, ignorante, lei e il suo capo, ragazzini impertinenti e camicie nere».
Però, al di là della rabbia di Bianconi, ci si racconta la Trattativa: nella riunione dei capigruppo, per due volte dall’inizio dell’anno, una su richiesta delle minoranze e l’altra su offerta della maggioranza, è stata concessa la diretta tv di modo che a fine trasmissioni fossero tutti soddisfatti: gli uni per il passaggio delle legge in discussione e gli altri per lo show a favore di telecamera e di militante. Che poi alla Rai si sparano perché gli ascolti vanno giù e la pubblicità fugge, ma questo c’entra solo un po’. 
C’entra che ieri da mattina a sera si è spesa l’espressione «giornata storica», e che giornata, annichilita, imbolsita, il niente rituale, pure i ragazzi gay e lesbiche radunati fuori dalla Camera – su per giù un centinaio – hanno brindato col «bicchiere mezzo pieno», sotto goccioline di malinconica pioggia, proponendosi di riempirlo a sera, «alle 22 in Gay Street», cioè dietro il Colosseo. Intanto dentro si timbrava il cartellino, a inizio seduta in aula erano trenta, nei corridoi si sceneggiavano rimasugli di dibattito, un bravo Simone Baldelli di Forza Italia ipotizzava che tutta la fretta governativa era giustificata dalla suggestione di approvare le Unioni Civili a 42 anni esatti dal referendum sul divorzio (12-13 maggio 1974), e vedremo come se la giocherà il premier, magari stasera a Porta a Porta. Umberto Bossi, così addolcito dagli anni, ridacchiava ricordando il progetto di sinistra di abbattere «la famiglia naturale, la famiglia normale, come primo nucleo del capitalismo, sin dai tempi del Bakunin». Il quale Bakunin non era comunista ma anarchico, «ma son tutti quella roba lì». Anna Paola Concia, attivista Lgtb (sigla per lesbiche, gay, bisessuali e transgender), presidiava lo svernamento di queste anime in sonno facendo avanti e indietro, lei candidata al consiglio comunale di Roma, «e se vince Marchini i fr... li sposo io come consigliere di minoranza». Arrivava Vladimir Luxuria, transgender, nato maschio, e quasi cacciata a insulti dal bagno delle donne di Montecitorio da Elisabetta Gardini, anno 2006. «È un bel giorno per noi, per i nostri diritti, per la credibilità della politica». 
Si arriva a sera per inerzia, fino a spiaggiarsi sul voto finale, dopo dichiarazioni di fiducia e sfiducia di molteplici gruppi neonati da scissioni e controscissioni, decine di partiti con nomi contenenti parole annacquate come libertà e democrazia, distinguo e sfumature, fiacche autocertificazioni di esistenza. La legge passa in un applauso nervoso, si congratulano con la Boschi le forziste Prestigiacomo, Carfagna e De Girolamo, applaudono dalle tribune di sopra anche i ragazzi dell’Arcigay e associazioni sorelle. Non potrebbero. La presidente Laura Boldrini lascia fare, la furia del capogruppo leghista Massimiliano Fedriga scivola dentro la giornata storica che si estingue.

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Fabrizio Roncone per il Corriere della Sera
«E che ti dico? Speriamo di sbrigarci. Possono fare tutto il casino che vogliono, però grazie al cielo Maria Elena ha messo la fiducia, non hanno scampo. Sì sì… lo so… è una rottura… In ogni caso per le sette di oggi pomeriggio dovremmo aver finito» (al telefonino, il deputato del Pd Ernesto Carbone - quello di #Ciaone su Twitter, per capirci: un po’ scocciato perché qui a Montecitorio magari rischia di andare per le lunghe, ma comunque in ghingheri, abito blu e cravatta salmonata delle grandi occasioni).
È una giornata parlamentare di quelle che entrano nella storia di un Paese e così, nel Partito democratico, c’è però anche chi vuole godersela come si deve.
Foto di gruppo con coccarde arcobaleno al petto.
Sfondo Transatlantico.
Marietta Tidei: «Io sono atea, e festeggio!». Sandra Zampa: «Io sono cattolica, e festeggio!». Ileana Piazzoni: «Festeggio anch’io, che sono laica!». Khalid Chaouki: «Io sono del Pd!».
Tidei, Zampa e Piazzoni si voltano: «Devi dire di che religione sei, Khalid…». «Ah, sì, certo! Io sono musulmano e del Pd!».
Matteo Orfini, cui è stato affidato l’incarico di scattare la foto, annuisce soddisfatto. Certe dimostrazioni di attaccamento al partito sono sempre gradite.
«Come vede, da presidente dei democratici sono stato retrocesso al ruolo di fotografo…». Non gesticola quasi più come il suo maestro, Massimo D’Alema (con cui è nel gelo ormai da mesi): però le battute di Orfini restano sapide, affilate, veloci, davvero molto dalemiane.
«Mi spiace monsignor Galantino abbia detto che porre la fiducia è una sconfitta: perché a noi questo sembra invece un giorno straordinario…».
Ai vescovi la legge sulle unioni civili non piace.
«Non piace? Bah».
Non piace proprio.
«Ma cosa disse papa Francesco? Disse: chi sono io per giudicare un omosessuale? Ecco, questa legge dà dei diritti a chi, fino a ieri, se li è visti negati».
Massimo Gandolfini, il gran capo del Family Day, è stato minaccioso…
«Chi è, scusi, questo signor Gandolfini?».
Il capo delle famiglie ultra cattoliche: dice che si ricorderanno di tutto ad ottobre, quando si voterà per il referendum al quale Renzi lega la sua stagione politica.
«No, guardi, davvero: questo Pandolfini…».
Gandolfini.
«Questo Gandolfini non lo conosco, non ci ho mai parlato… Mi sembra scorretto esprimere un parere su una persona a me ignota…».
Le parole sono queste, l’atmosfera è questa. Diffusamente, contagiosamente gay-friendly. E non solo tra i democratici. «Scusate: ma chi è che vota no alla legge nel nostro gruppo?»: è arrivata la forzista Nunzia De Girolamo. «M’hanno chiamato da Uno Mattina, cercavano uno di noi che votasse no… Ma qui mi sembra che votiamo quasi tutti sì» (risate).
Il capogruppo Renato Brunetta inizia a battere il piede destro, sbuffa e mette su un ghigno (più o meno lo stesso che ha quando osserva un cronista sgradito: e non capisci mai se dentro c’è solo banale sarcasmo, o anche puro disprezzo).
Comunque: Brunetta si affretta a spiegare che tutto il partito voterà compatto la sfiducia al governo e poi qualcuno, ma giusto qualcuno, voterà «sì» alla legge.
Qualcuno?
Elenco provvisorio: Prestigiacomo, Carfagna, De Girolamo, Polverini, Lainati, Palmizio e altri. Più di dieci, sembra. Intanto Simone Baldelli — barba vecchia di due giorni, fine del berlusconismo — ha preso la parola in aula per la dichiarazione di voto.
Poi è il turno di Luca D’Alessandro, guardia scelta verdiniana: e annuncia che Ala voterà la fiducia al governo.
«È la prima volta che accade, qui a Montecitorio».
A suo modo, inevitabile: o no?
«Scelta di coerenza politica».
Siete parte del governo, secondo alcuni.
«Sì. Siamo molto, ma proprio molto vicini a questo governo che fa le riforme».
Passa la piddina Anna Ascani barcollante su tacco 18 - che nemmeno Daniela Santanché, quand’è in vena. Poi passa Maurizio Bianconi, ex tesoriere del Pdl, ora nel Gruppo misto, un toscanaccio ruvido («Domani non scriva che ho la brillantina: ché i miei capelli sono unti di loro»). Insomma passa e sente Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia — capo della macchina elettorale per il Campidoglio di Giorgia Meloni — che polemizza con Alfio Marchini, altro candidato sindaco a Roma ostile, come la Meloni, ai matrimoni tra gay. «Fabio, ma perché ti dà fastidio se due finocchi si sposano? Voi siete la destra di retroguardia, la destra reazionaria…».
Meno male che la Meloni non sente. Il comunista Stefano Fassina cammina a testa bassa con i suoi guai (a ore, il Tar deciderà se riammettere le sue liste). Di ottimo umore Roberto Giachetti: «Marchini e Meloni sono fuori: al ballottaggio andiamo io e la Raggi».
Dieci minuti dopo la legge viene approvata e Giachetti esce da Montecitorio insieme al ministro Maria Elena Boschi: vanno a salutare un gruppo di militanti della galassia Lgbt. Che già festeggiano con la senatrice Monica Cirinnà, suo il nome della legge, Vladimir Luxuria e Anna Paola Concia (felice pure per il servizio che il settimanale Chi le ha dedicato in coppia con Alessandra Mussolini).
Ernesto Carbone guarda l’orologio: sono le otto. Perfetto.
Cioè no, mica tanto. Perché poi il dubbio a quest’ora è sempre lo stesso: sarà meglio un aperitivo al bar del Fico o all’hotel Locarno?