Il Sole 24 Ore, 11 maggio 2016
L’Europa, ovvero la meta preferita per i «turisti» del denaro facile
Ci mancano solo i voli charter. I tassi ormai a zero e l’avvio imminente di un programma di acquisti di obbligazioni aziendali da parte della Bce hanno infatti trasformato l’Europa nella meta preferita per i «turisti» del denaro facile. Imprese americane come McDonald’s o Philip Morris, aziende dei Paesi emergenti come la messicana Pemex o l’ungherese Mol, grandi corporations mondiali come la cinese Hutchison: sono sempre più le società internazionali che decidono di sfruttare le eccezionali condizioni di mercato in Europa (per chi si indebita s’intende), per venire qui a raccogliere denaro conveniente attraverso il mercato obbligazionario denominato in euro. Così la politica monetaria della Bce, studiata per far ripartire il motore del credito in Europa, sta indirettamente avvantaggiando anche aziende estere. E sta favorendo ulteriormente l’opportunismo finanziario, come per anni ha fatto la Fed. Con il rischio che la pila di debito globale continui a crescere.
Sono i dati, elaborati da Dealogic per il Sole 24 Ore, a parlare chiaro. Da quando la Bce ha portato i tassi sui depositi sotto zero (cioè 25 mesi fa, dato che era il giugno 2014), le imprese non europee hanno emesso obbligazioni denominate in euro per un totale di 170 miliardi. Si tratta di una cifra pari quasi al doppio rispetto ai 98 miliardi dei 25 mesi precedenti. Nei primi quattro mesi e mezzo del 2016 (i dati sono aggiornati a ieri), le imprese non europee hanno emesso circa 35 miliardi di euro di obbligazioni in Europa: si tratta di una crescita esponenziale rispetto ai 17 miliardi dello stesso periodo del 2014, ai 17 del 2013, ai 3,5 del 2012 e ai 4 del 2011. Nel frattempo sono aumentate anche le emissioni di obbligazioni da parte di aziende europee (italiane incluse), ma in un mercato super conveniente ci si stanno infilando un po’ tutti. Da tutto il mondo.
Le imprese internazionali arrivano in Europa a raccogliere finanziamenti sul mercato dei bond per due motivi. Il primo è legato al costo: la politica dei tassi a zero della Bce, che contrasta con quella di tassi tendenzialmente in rialzo della Fed Usa, rende il mercato europeo più conveniente per chi s’indebita. Si pensi che mediamente (secondo l’indice di Bloomberg) le obbligazioni aziendali con rating investment grade in America rendono il 3%, mentre in Europa lo 0,8%. Anche usando i derivati per annullare il rischio cambio, alle aziende Usa conviene indebitarsi in euro. E anche a quelle di molti Paesi emergenti. Il secondo motivo è legato all’imminente programma di acquisti di bond aziendali da parte della Bce: da giugno Draghi inizierà a comprare corporate bond in euro, anche quelli di imprese estere se sono stati emessi attraverso società controllate nel Vecchio continente. Morale: con tassi bassi e con un compratore come la Bce, il mercato dei corporate bond è diventato l’Eldorado: delle imprese mondiali.
Con questa manovra la Bce ha un obiettivo positivo: spera di far confluire denaro direttamente alle imprese, dunque all’economia reale. Inoltre aumenta la portata del suo bazooka monetario. Però, come tutte le medicine molto aggressive, anche questa ha i suoi effetti collaterali. Il rischio è proprio quello descritto sopra: che questa manovra fomenti ulteriormente il «turismo finanziario», che favorisca l’indebitamento di imprese dei Paesi americane o di Paesi emergenti già stordite da anni di denaro facile della Fed, che favorisca strategie finanziarie deleterie. Insomma: che alimenti ancora una volta più la finanza che il mondo reale.
Basta pensare cosa fanno certe aziende americane: molto spesso s’indebitano non per fare investimenti, non per assumere lavoratori o per comprare macchinari. S’indebitano, emettendo bond anche in euro, semplicemente per comprare con i soldi presi in prestito le proprie azioni a Wall Street. Nel 2015, secondo i dati di Factset, le imprese americane hanno infatti speso la bellezza di 569 miliardi di dollari solo per ricomprare azioni proprie in Borsa: in questo modo fanno salire il loro titolo a Wall Street (gonfiando anche le buste paga degli amministratori delegati), e ritoccano al rialzo un parametro molto guardato come l’utile per azione. Insomma: molte aziende si indebitano con il solo fine di “drogare” la Borsa a proprio vantaggio. L’effetto finale è di drenare risorse dall’economia reale, a vantaggio della finanza autoreferenziale. Questo è l’effetto forse più deleterio della politica monetaria ultra-espansiva.
Problema diverso, ma non meno allarmante, per le imprese dei Paesi emergenti. Per anni si sono indebitate in dollari, quando i tassi Usa erano a zero e la Fed stampava denaro. Questo ha gonfiato il loro debito in maniera esponenziale, arrivato a fine 2015 – secondo una stima della Bri – a 3.800 miliardi di dollari. Questo è il motivo per cui quando la Fed ha iniziato ad alzare i tassi, su questi Paesi è partito il terremoto. Ma se ora le loro imprese trovano un altro mercato fertile per indebitarsi, cioè quello europeo, il rischio è che il meccanismo si moltiplichi all’infinito e che in quei Paesi non avvenga mai un aggiustamento strutturale. La speranza è che la politica ultraespansiva della Bce si riveli efficace in fretta e che possa essere ritirata prima che gli effetti collaterali superino i benefici. E prima che i voli charter si dirigano in altre direzioni future.