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 2016  maggio 11 Mercoledì calendario

Due o tre cose da sapere sulla prescrizione

La prescrizione falcidia 500 processi al giorno. In 10 anni, da quando l’ex-Cirielli –fatta apposta per salvare dalla galera B. & Previti – dimezzò i tempi consentiti per i giudizi penali, ne sono andati in fumo un milione e mezzo. E il trend è in aumento (nel 2013, 123 mila; nel 2014, 132 mila; nel primo semestre 2015, già 68 mila). Ha un senso la prescrizione? Sì: consente ai magistrati di non perseguire più vecchi reati per cui, dopo un tot di anni, è ragionevole pensare che, se finora non si è trovato il colpevole non lo si troverà più. O lo si troverà morto. A quel punto –per parlare forbito – “viene meno la pretesa punitiva dello Stato”, con l’eccezione di delitti particolarmente gravi (l’omicidio, la strage) che non si prescrivono mai. In questo senso la prescrizione esiste in tutto il mondo. Ma, negli altri paesi, cessa quando lo Stato esercita il diritto di perseguire il possibile colpevole del reato: cioè quando inizia il processo con la richiesta o col decreto di rinvio a giudizio. Da noi invece continua a galoppare anche durante il processo, che si snoda –solo in Italia – in tre gradi di giudizio: Tribunale o Corte d’assise, Appello e Cassazione. Negli altri paesi i gradi sono perlopiù due, e tutt’altro che automatici: uno di merito, l’altro di legittimità, salvo l’emergere di nuove prove (la nostra revisione). E il condannato in tribunale, se ricorre nel secondo e ultimo grado, rischia grosso: se risulta colpevole anche lì, si becca una pena più alta, oltre alle salatissime spese di giudizio. Se sa di essere colpevole, non gli conviene ricorrere. Anzi, non gli conviene neppure affrontare il processo: patteggia subito, cioè concorda una pena con lo sconto, e morta lì. Nei paesi anglosassoni solo il 5-6% dei procedimenti va a dibattimento: gli altri si chiudono prima con i riti alternativi. Da noi, non esistendo la reformatio in peius, nessun condannato rischia pene più alte se appella: gli conviene ricorrere comunque in appello e in Cassazione, dove può strappare l’assoluzione (magari per insufficienza di prove) o meglio la prescrizione (che corre sino alla fine). Perciò in Italia non patteggia quasi nessuno, quasi tutti i procedimenti vanno a dibattimento, e gli uffici giudiziari s’intasano. Un sistema folle, dove la prescrizione non è più solo un effetto, ma anche una causa dei processi lenti. La prescrizione è un’amnistia occulta. Ma non è uguale per tutti: è selettiva e classista. I colletti bianchi l’agguantano molto più facilmente dei criminali comuni, per tre motivi.  
1)I reati dei colletti bianchi (finanziari e contro la PA) sono puniti con pene molto più basse, dunque con prescrizione più breve, perché le leggi le scrivono i parlamentari e i loro avvocati (spesso in conflitto d’interessi).
2) I reati dei colletti bianchi sono invisibili (corruzione, concussione, truffa, peculato, abuso d’ufficio, falso in bilancio, aggiotaggio, frode ed evasione) e si scoprono –quando si scoprono –molto più tardi di quando vengono commessi, diversamente da quelli comuni (scippo, furto, rapina, omicidio, violenze varie), che quasi sempre vengono denunciati e dunque emergono subito. E la prescrizione scatta non quando vengono scoperti, ma quando vengono commessi.
3) I colletti bianchi possono permettersi di pagarsi un avvocato anche per 10 anni, per resistere in giudizio in attesa della prescrizione. La prescrizione è disegnata apposta per i colletti bianchi, ma non per tutti, solo quelli colpevoli. L’innocente processato ingiustamente non ha alcun interesse ad allungare il brodo, tenendosi addosso la macchia per anni: punta all’assoluzione oggi, mentre il colpevole mira alla prescrizione domani. Infine la prescrizione all’italiana è una fregatura, oltreché per le vittime e per i magistrati, anche per lo Stato. Se il pm scopre un reato (poniamo: traffico d’influenze o abuso d’ufficio) di 6 anni prima e sa che per legge si prescriverà in 7 anni e mezzo, non può lasciar perdere perché 18 mesi non basteranno mai per le indagini, l’udienza preliminare e tre gradi di giudizio. Deve comunque avviare un processo inutile in partenza, impegnando vanamente se stesso, la polizia giudiziaria, segreterie, cancellerie e vari giudici. Siccome poi ogni processo costa in media 521 euro, in questi 10 anni lo Stato ha gettato dalla finestra 781 milioni di euro per 1 milione e mezzo di processi in fumo. Senza contare tutti i bottini che i colpevoli avrebbero dovuto restituire in caso di condanna e invece si son tenuti in tasca. Un danno di miliardi. A questo punto il lettore dirà: ma siamo matti? Ma che aspetta il governo a varare un decreto di tre righe per far decorrere la prescrizione da quando il reato viene scoperto e bloccarla al rinvio a giudizio? Per la corruzione qualcosa s’è fatto: pene più alte e prescrizione più lunga (si calcola sul massimo della pena). Purtroppo non basta, perché le corruzioni si scoprono anni dopo e soprattutto perché, per smascherarle, si deve partire dai reati strumentali (abuso d’ufficio, traffico d’influenze, falso in bilancio, evasione o frode), che hanno pene basse e prescrizione lampo. Il Parlamento sta discutendo un ddl che non serve a nulla: dà due anni in più dopo la condanna di primo grado e uno in più tra quella di appello e la Cassazione. E già su questo brodino Ncd e Ala alzano barricate e gli avvocati scioperano. Non resta che confidare nel populismo di Renzi: nulla è più popolare di una seria legge blocca-prescrizione. I 5Stelle sono pronti a votarla, anche se l’altolà scatta dopo il primo grado. Perché il premier non coglie la palla al balzo e non rende finalmente un buon servizio all’Italia?