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 2016  maggio 11 Mercoledì calendario

Turchi che fumano come turchi

Il tabagismo dei turchi è proverbiale, una fama che probabilmente nasce tra la metà del diciannovesimo e i primi anni del ventesimo secolo, quando il tabacco proveniente dal Paese era considerato il migliore del mondo. Il logotipo pubblicato qui accanto delle sigarette «Moslem» – una marca della tedesca Mahala-Problem Berliner Zigarettenfabriken del 1908 – dà un’idea del posizionamento? Da tempo però i paesi per bene scoraggiano il vizio, e non poteva essere da meno la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, l’attuale Presidente.

Fin dal 2008 (quando Erdogan era ancora Primo Ministro) è stato introdotto un rigido divieto al fumo nei locali pubblici simile a quelli in uso nell’Europa Occidentale. I risultati iniziali del divieto (che si applica anche ai luoghi pubblici all’aperto come gli stadi, i parchi e i giardini delle moschee) sono stati positivi. Tra il 2008 e il 2011 il consumo turco è sceso da circa 115 miliardi di sigarette all’anno a meno di cento miliardi. Da allora però, è tutto finito, come si dice in Occidente, «a puttane».
Il consumo di tabacco dalla popolazione turca è arrivato l’anno scorso a 125 miliardi di sigarette. Il tasso di fumatori tra gli uomini adulti è salito dal 39% al 42% e tra le donne dal 12 al 13%. L’aumento più spettacolare è stato tra i giovanissimi: nella classe d’età che va dai 13 ai 15 anni compresi, l’uso delle sigarette è cresciuto del 51% rispetto alla serie storica 2003-2012. Si sta preparando un’intera nuova generazione di consumatori che fumano, sì, come turchi. Secondo il Dott. Oguz Kilinc, un professore di medicina e componente del consiglio direttivo della Turkish Thorax Association, il rovesciamento della tendenza è dovuto a tre fattori: primo, la miseria economica generalizzata di larga parte della popolazione, seguita dalla mancanza di azioni per ridurre la presenza del tabacco sul mercato e poi dall’inefficacia degli sforzi per ridurre la domanda. «La Turchia è il settimo paese al mondo per il consumo di tabacco», ha detto Kilinc al giornale Al- Monitor, «Le sperequazioni del reddito, la mancanza di giustizia sociale e i problemi domestici sono i principali elementi. È lo stesso in tutto il mondo. Il consumo (del tabacco) è più alto tra i disoccupati e i disagiati. È la povertà a spingere l’aumento».
I dati internazionali confermano l’osservazione dell’esperto turco. Perfino negli Stati Uniti (il paese anti-fumo per eccellenza) tra il 1965 e il 1999 le famiglie ad alto reddito hanno diminuito l’uso del tabacco del 62% rispetto a un calo del solo 9% in quelle più povere. Inoltre, secondo il Prof. Keith Humphries, il Director of Mental Health Policy alla Stanford University: «Anche se è migliorato l’accesso dei poveri alle terapie per smettere di fumare? sono ancora molto indietro rispetto alla middle class». I pronunciamenti degli accademici sono un conto. Forse l’ha detto meglio il cantautore nazionale turco Neset Ertas, che ha sfidato Erdogan sul lancio della campagna anti-fumo poco dopo la sua introduzione nel 2008: «I nostri poveri e diseredati sono già a terra, non riescono a pagare la bolletta né della luce né dell’acqua. Non hanno nemmeno pane e olive da mangiare. La sigaretta è l’unica cosa che gli resta. Lasciamogliela stare».