ItaliaOggi, 11 maggio 2016
L’avreste mai detto che l’Italia è un modello di efficienza contro la corruzione?
Il premier islandese che nasconde a Panama i propri capitali; la Commerzbank, seconda banca della Germania, che costituisce migliaia di società fantasma per eludere il fisco, i 200 casi sospetti in capo alla Norvegia (un quarto di quelli italiani ma in un Paese che ha un quarto del nostro pil e un dodicesimo della nostra popolazione) sono solo alcune fra le più vistose notizie sgocciolate dai Panama Papers a carico di Paesi rispetto ai quali l’Italia è solita esercitare il complesso nazionale di inferiorità. Dati parziali, certo, ma che arrivando a ridosso dello scandalo delle emissioni truccate dalla Volkswagen spingono a interrogarsi se davvero l’Italia sia più corrotta di altri, come riportato nei luoghi comuni che a livello mondiale ci danneggiano.
I rapporti di Transparency International, (TI) citati sulla stampa come fossero una fotografia esatta dell’onestà dei diversi Paesi del mondo, non consistono in ciò che viene rilevato sul campo dalle autorità giudiziarie ma in una campionatura di opinioni, che riferiscono della percezione che si ha del livello di corruzione; opinioni che, per quanto autorevoli, così assicura Ti, non hanno un legame preciso con dei dati verificabili. Una lettura diversa del malaffare comparato si ricava invece dal lavoro concreto delle autorità anti-frode dei vari Paesi dell’Unione europea, in cui l’Italia si distingue come modello di efficienza, rigore e tempestività. Paradossalmente, però, anche questo peggiora la nostra immagine, che viene così legata a un maggior numero di denunce, mentre gli altri Paesi, meno bravi a scovare le frodi, risultano più onesti.
«Identificare molte frodi non vuol dire che in un Paese ci sono più frodi che altrove- osserva infatti Sandro Gozi, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per gli Affari europei – significa invece essere maggiormente efficaci nello smantellarle». Viceversa, secondo Gozi, «avere pochi casi di frode vuol dire sempre di più che non si è fatto un buon lavoro di contrasto. Per questo l’Italia chiede che gli altri Paesi si allineino agli stessi nostri standard». La bravura italiana, che non riesce a sfondare sulla stampa, quasi sempre occupata a riferire del contrario, è stata riconosciuta anche in sede europea, dove la Commissione ha messo in chiaro che i dati delle frodi compilati da paesi diversi non sono fra loro confrontabili. Un esempio? Mentre la Guardia di Finanza italiana può fare sopralluoghi a sorpresa, in altri Paesi le fanno solo su appuntamento.
«Un paragone eloquente si può fare inoltre nella tempistica della comunicazione – osserva Gozi – in cui ben sei Paesi comunicano le sospette frodi a Bruxelles solo dopo la sentenza di condanna definitiva. Questo elimina dai loro rapporti tutte le archiviazioni, le assoluzioni e le prescrizioni. È evidente che le statistiche ne risultano sfalsate, e l’Italia, che segnala i casi di sospetta frode al momento della richiesta di rinvio a giudizio da parte del Pm, può sembrare più corrotta anziché più corretta». Così da «maglia nera» per la corruzione l’Italia sta passando a fare scuola: sono 15 i governi che hanno chiesto all’Italia di poter studiare più da vicino i nostri modelli, e nel 2014 sono state effettuate visite di studio da parte delle forze di polizia anti-frode di altri Paesi.
Infine, il rigore applicato e non da ora nel nostro Paese sembra dare i suoi frutti, e l’Italia risulta in controtendenza rispetto al resto d’Europa. Le ultime statistiche dimostrano che le irregolarità e le frodi ai danni dell’Unione europea in Italia sono scesi del 13% (da 113 milioni del 2013 a poco più di 98 milioni nel 2014, ultimo dato disponibile) mentre nel complesso degli stati europei sono in aumento (+ 55 %).