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 2016  maggio 11 Mercoledì calendario

Com’è difficile arrivare a Reggio Calabria

«Scusi, ho visto che su questo treno c’è la connessione wi-fi, ma perché non funziona?».
 
«Mmmhhh... sì funziona, ma garantiamo la copertura solo da Salerno in su...».
 
Sarebbe stato bello se Matteo Renzi, il giorno dell’inaugurazione della nuova «Casa dei Bronzi di Riace» a Reggio Calabria, avesse potuto ascoltare la risposta data, con una punta d’imbarazzo, da un controllore del Frecciargento Reggio-Roma.
  
Una risposta che sintetizza in qualche modo la contraddizione di fondo di una città che tenta una risurrezione almeno culturale, correndo però il rischio che nessuno se ne accorga perchè troppo «periferia dell’Impero». Questa primavera reggina ha quasi miracolosamente inanellato una serie di eventi che hanno portato la città sulle prime pagine della stampa nazionale ed estera. E non più per fatti di ’ndrangheta o cronaca giudiziaria, o per quelle classifiche sulla qualità della vita che da sempre vedono la provincia in fondo alla lista. Questa volta è stata la cultura a farla da padrone.
 
Il Castello aragonese (le cui basi risalgono al 500 dopo Cristo), dopo una travagliata storia di crolli e restauri, è stato aperto al pubblico. Certo, non tutti gli spazi sono agibili, ma la vista dello Stretto dalle torri è imperdibile. «Il problema», si rammarica la guida della cooperativa sociale che in questi giorni gestisce una serie di eventi all’interno del Castello, «è che vorremmo organizzare tante cose, per esempio un concerto sulle torri, ma le autorità non ci danno il permesso perché dicono che è rischioso, che non ci sono protezioni.
 
 
Ma dico, allora, chiudiamo tutte le terrazze dei palazzi perché sennò c’è il rischio che la gente ci salga e si butti giù!» Alla fine, le sale visitabili sono pochine, ma l’ingresso è gratuito (forse un biglietto almeno simbolico sarebbe stato opportuno) e il personale è gentile. E poi ci sono i ragazzi della Società d’arme Militia Fretensis e Contea Normanna, cultori della lotta medievale, che con passione e dovizia di particolari ti spiegano le differenze tra spade e spadoni, scudi da guerra e da passeggio, cotte e corazze, raccontandoti come ci si sente ad andare in giro con 50 chili di armatura sulle spalle e come gli scontri fra eserciti nel Medioevo fossero quanto di più vicino a un’arte marziale si possa immaginare.
 
La «riconquista» del Castello, vero simbolo della città, da parte dei reggini è comunque passata in secondo piano rispetto ad altri eventi, Per esempio, l’apertura del Palazzo della cultura intitolato allo storico Pasquino Crupi: un ex brefotrofio degli anni ’20 che adesso, nei suoi 4 mila metri quadrati, ospita 125 tele sequestrate a Gioacchino Campolo, il «re dei videopoker». È accusato di legami con la ’ndrangheta, ma, quanto ad arte, aveva gusto: da Sironi a Dalì, da Fontana a De Chirico, da Carrà a Ligabue, ci sono quadri per un valore stimato intorno al mezzo miliardo di euro. Negli stessi giorni, gli scavi per un parcheggio da costruire sotto la piazza della stazione hanno portato alla luce un’imponente struttura probabilmente di epoca romana, ancora tutta da decifrare.
 
 
Mentre storici e archeologi studiano, gli anziani che si aggirano nell’area dei lavori fantasticano sulla prima ipotesi, quella di un sepolcro monumentale. Che addirittura potrebbe essere di Giulia, la figlia di Augusto, che, per la sua scandalosa condotta morale, venne spedita in esilio prima a Ventotene e poi nell’antica Rhegium dove morì.
 
In tutto questo fiorire di eventi, la riapertura della «casa dei Bronzi di Riace», vale a dire il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria (Manrc), il 30 aprile scorso, è stata la ciliegina sulla torta. Al netto del nome macchinoso (se hai i Bronzi di Riace, chiamare la loro casa Museo dei Bronzi sarebbe il minimo sindacale) e dei due comunque straconosciuti guerrieri del V secolo avanti Cristo, Palazzo Piacentini merita una visita attenta, per i suoi tesori magnogreci ma non solo.
 
Si scoprono le grandi giare in cui, nel periodo del Bronzo medio, venivano inumati i defunti, in posizione rannicchiata. Una pisside sormontata da figure di quadrupedi datata tra l’830 e il 720 avanti Cristo. Gli straordinari quadretti votivi (pynakes), come quello in cui una nubenda offre in voto un gallo e una palla alle divinità, e modellini di fontane, che grazie a particolari accorgimenti idrici riproducevano giochi d’acqua. Raffinati vasi con raffigurazioni di nani e attori della commedia, e carapaci di tartarughe usati come cassa armonica delle lire. Pynakes che descrivono la vita domestica nella Magna Grecia: sedie, cassapanche e comodini si potrebbero riprodurre ancora oggi e nulla avrebbero da invidiare ai pezzi di famosi designer.
 
Non tutto è perfetto, certo. Il personale va un po’ sgrezzato, perché va bene apostrofare il turista tedesco che fotografa i Bronzi con il flash, ma lo si può fare anche senza essere sgarbati. Nelle descrizioni (che comunque sono anche in inglese) la necropoli locrese di Lucifero diventa a volte di «Luicfero» (peccato veniale, ma possibile che qualcuno non supervisioni?). E tra gli specchi bronzei, quello che è probabilmente più significativo, è in prestito temporaneo all’università di Princeton. Ma l’impressione generale è di una completa proposizione di quei reperti che fanno del Manrc il secondo museo al mondo per vestigia magnogreche dopo il Pergamon di Berlino.
 
Forse consapevole di ciò, il premier Renzi, il giorno dell’inaugurazione ha affermato che «non è possibile che una struttura così stia sotto i 200 mila visitatori l’anno». In realtà è vero il contrario: è un miracolo che il Museo reggino sia, nel Sud Italia, secondo solo a quello di Capodimonte come numero di visitatori. Perchè a Reggio ci devi proprio voler venire. E te lo devi anche poter permettere. Un biglietto Alitalia da Milano di sola andata, acquistato qualche giorno prima, può costare intorno ai 300 euro.
 
Si aggiunge qualcosa e si va a New York: vuoi mettere? Oppure c’è l’auto. Ma sulla Salerno-Reggio Calabria ci sono ancora una decina di cantieri aperti. Il governo vuole chiudere tutto entro fine dicembre. Nel frattempo, chi si fida?
 
E il treno, poi? Manco a parlarne. Sull’Intercity che da Napoli porta in riva allo Stretto una signora in trasferta per un evento del Lions si lamenta: «Uffa, certo che non si arriva mai!» E ha ragione: ci vogliono cinque ore. Con un Frecciabianca o un Frecciargento intorno alle quattro, e da Salerno in giù molti servizi (come il wi-fi) sembrano sparire. «Ora ci vuole l’Alta velocità fino a Reggio», ha detto Renzi. Quella che permette a un bolognese di accompagnare i figli a scuola, andare a prendere il caffè in Piazza della Signoria, fare un po’ di shopping e tornare in tempo per riprenderli. O a un milanese di andare a Roma, sbrigare i suoi affari e rincasare per cena. Nell’ottobre 2015 il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio annunciò entro quest’anno i treni a 200 chilometri all’ora anche sulla tratta Salerno-Reggio. Per ora i risultati non si vedono. E i reggini, che nel frattempo si preparano al boom turistico che verrà aprendo bed&breakfast negli antichi palazzi del centro, la prendono con filosofia e un po’ di ironia: «ha aperto il Museo archeologico, ora bisogna trovare qualche trireme che ci porti i turisti». Una battuta, forse. Ma non troppo.