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 2016  maggio 11 Mercoledì calendario

Il punto sulla crisi greca

Si ritorna a parlare di crisi greca anche per una secca presa di posizione del Fondo monetario internazionale (Fmi) che non intende proseguire nel programma di aiuti, condiviso con l’Eurozona, se non si prefigura una ristrutturazione del debito ellenico. Il problema si pone adesso perché a luglio Atene deve rimborsare alla Bce 3,5 miliardi di euro di bond greci. Per farlo ha bisogno della erogazione di 5 miliardi di euro prevista nel terzo programma di salvataggio della Grecia deciso l’estate scorsa ma subordinato al raggiungimento di certi obiettivi di risanamento dei bilanci pubblici. La Germania è contraria alla ristrutturazione ma non vuole rinunciare alla “copertura tecnico-politica” dell’Fmi. E così l’Eurogruppo sta cercando un via di compromesso che probabilmente consisterà nell’allungamento delle scadenze del prestito alla Grecia e ad una ulteriore riduzione dei tassi. Per un po’ potrebbe bastare ma la debolezza della governance dell’Eurozona e la fragilità della sua crescita rimangono e non si risolvono con i rinvii.
La posizione dell’Fmi. Già lo si vede anche nei rapporti con l’Fmi che nel luglio 2015 aveva dichiarato che la sua partecipazione al terzo programma di aiuti era condizionata alla ristrutturazione del debito greco. L’argomentazione dell’Fmi è comprensibile perché ha regole da applicare a tutti gli Stati che entrano nei suoi programmi di assistenza e perché ha degli stati “azionisti”che lo vigilano. L’Fmi ripete oggi che gli obiettivi di aggiustamento fiscale richiesti alla Grecia, e in particolare un avanzo primario sul Pil del 3,5% dal 2018 da mantenere per anni al fine portare il debito pubblico sul Pil su un sentiero di sostenibilità, non è realistico. Al massimo si può puntare all’1,5%, almeno per ora, il che consentirebbe anche una ripresa (modesta) della crescita in Grecia. L’Fmi ritiene tuttavia che con questo obiettivo solo una ristrutturazione del debito consentirebbe poi di mettere lo stesso sotto controllo. Le istituzioni europee per ora dissentono ma nel contempo trattano perché sanno che la cancelliera Merkel vuole la presenza dell’Fmi per evitare critiche politiche interne di “cedevolezza meridionalistica”.
La posizione europea. Questa non è uniforme ma per ora prevale la contrarietà ad una ristrutturazione del debito per le seguenti ragioni. Il debito greco è già stato ristrutturato a fine 2011 con un taglio del 50% pari a 107 miliardi di euro persi dai creditori privati. I prestiti deliberati (e in parte già erogati) dal Fondo salva Stati europeo (Esm) per la Grecia cifrano 86 miliardi al tasso medio di circa l’1% con durata media ponderata di 32,3 anni. Non si tratta certo di condizioni pesanti. A questi vanno aggiunti i prestiti bilaterali di Stati dell’Eurozona per circa 50 miliardi. Il Memorandum delle istituzioni europee per la concessione dei prestiti scadenzati nel tempo comporta però il rispetto da parte di Atene di certe condizioni di sostenibilità fiscale e finanziaria,di riforme strutturali anche dell’apparato statuale, di privatizzazioni. E infine clausole di salvaguardia in termini di tagli di spesa e più tasse se gli avanzi primari fissati non vengono raggiunti. Anche su queste condizioni ritornerà la trattativa tra Atene e l’Eurogruppo a fine maggio.
La posizione greca. Nelle trattative non si possono però dimenticare le responsabilità delle Grecia ma anche dell’Europa e qui un po’ di storia è necessaria. Atene ha fatto errori e falsificazioni gravi che l’hanno portata alla crisi. Alla fine del 2009 il bubbone è scoppiato quando il neo primo ministro Papandreu rese noto che i conti pubblici erano stati falsificati dai precedenti governi per entrare nell’euro ed anche dopo. La Grecia aveva un deficit (anche se truccato) piuttosto alto ma un boom economico artificioso (per un’economia debole strutturalmente) portò a sottovalutarlo anche perché il debito sul Pil rimaneva di poco superiore al 100%. Il boom era però tutto fasullo sia per i bassi euro-tassi di interesse, sia per la spesa pubblica abbondante sia per l’evasione fiscale sia per l’afflusso sconsiderato di capitali dall’estero (ed in particolare dalle banche francesi e tedesche) in quanto la protezione dell’euro sui titoli di Stato era considerata sicura. Le certezze si sono infrante sulla crisi finanziaria mondiale,sulla famosa dichiarazione del duo Merkel-Sarkozy del novembre del 2010 (che lasciava intravedere una ristrutturazione del debito greco a spese dei privati) sia per le condizioni troppo onerose dei primi prestiti ad Atene. Poi i prestiti sono diventati assai meno onerosi come sopra evidenziato.
Ma ormai la situazione era precipitata e così la Grecia è oggi al limite della tenuta umanitaria. Dal 2008 al 2015 il Pil è sceso di 27 punti percentuali (pp), la disoccupazione è cresciuta di 19 pp arrivando al 25% (con un picco del 27,5% nel 2013) e quella giovanile è più che raddoppiata arrivando al 50%(con un picco del 58% nel 2013). Ma le finanze pubbliche, malgrado una marcata riduzione del deficit sul Pil depurato dal ciclo economico, rimangono molto fragili anche perché il debito sul Pil è già risalito al 177% dopo il taglio del 2011. A peggiorare la situazione sono entrati (anche se poi molti sono usciti) nel 2015 in Grecia 1,25 milioni di immigrati pari all’11,3% della popolazione
Le prossime decisioni. La Ue e la Uem si trovano di nuovo in una situazione difficile causata anche dall’aver affrontato tutta la crisi tardivamente e con una politica europea di contrasto fatta soprattutto di austerità. Tutti gli Stati europei con finanze pubbliche meno solide, Italia compresa, hanno pagato un prezzo alto. Nel caso della Grecia c’è chi pensa che l’alternativa ora sia tra ristrutturare il debito o prepararsi ad una prossima uscita dall’euro. Il costo di queste decisioni sarebbe altissimo per l’Eurozona già percorsa da egoismi nazionali e quindi l’ipotesi più plausibile è un ulteriore alleggerimento delle condizioni dei prestiti ad Atene che non risolverà il problema. Ci vorrebbe invece una potente politica di investimenti infrastrutturali europei ecocompatibili governati da un Ente europeo e indirizzata soprattutto verso i Paesi e le regioni (mezzogiorno d’Italia compreso) che più hanno sofferto con la crisi. Ancora una volta ritorniamo al tema della emissione di eurobond acquistabili dalla Bce. Soluzione assai meno azzardata della “moneta dall’elicottero” di cui si continua a parlare.