La Stampa, 11 maggio 2016
«Le mie vittorie resero la racchetta popolare, ne vado molto orgoglioso». Parola di Panatta
Sono passati 40 anni dalla vittoria di Adriano Panatta a Roma, l’ultima di un italiano al Foro Italico, in quel formidabile 1976 in cui Panatta trionfò anche al Roland Garros e in Coppa Davis a fianco di Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli.
Panatta, quanto contò il successo a Roma?
«Contò soprattutto quello a Parigi. Vincere uno Slam ti trasforma come giocatore, i colleghi ti guardano in maniera diversa. Nella mia vita non cambiò nulla, sono sempre stato un ottimista».
E nello sport italiano?
«Fu l’inizio di un processo. Mise la racchetta in mano a gente che non ci pensava proprio, nacquero un sacco di circoli. Il tennis divenne popolare. Ne vado anche abbastanza orgoglioso».
Due tornei vinti salvando matchpoint al 1° turno, a Roma addirittura 11 contro Kim Warwick. Se li ricorda tutti?
«Ricordo i matchpoint delle due finali: la smorzata di Vilas su cui arrivo e faccio punto, la volée alta di rovescio di Solomon che finisce sul nastro. Gli 11 matchpoint con Warwick, sono sincero, non me li ricordo. Kim però non la prese bene».
Si arrabbiò?
«L’anno dopo. Al torneo del Queen’s era avanti 5-0 nel primo set, gli salvai altri 11 set-point e vinsi il set. A quel punto disse “no more!, basta così, con te non gioco più”. E se ne andò dal campo».
Ai suoi tempi Roma come prestigio era più vicina al Roland Garros?
«No, Parigi è sempre stata Parigi. Due settimane, tre set su cinque: gli Slam sono i tornei più difficili. Piuttosto allora Roma e Parigi si giocavano di fila, era più difficile vincerli nello stesso anno».
Chi fu l’avversario peggiore?
«Il primo turno contro Hutcka fu duro, a Parigi arrivai cotto perché la finale di Roma era finita tardi. Nei quarti trovai Borg. Eravamo molto amici e tecnicamente compatibili: a mio favore però. Vinsi in quattro set ma la miglior partita la giocai contro Dibbs in semifinale. La più dura fu la finale con Solomon. Nel quarto set ero proprio stanco».
Il match della sua carriera che vorrebbe rigiocare?
«Contro DuPré, i quarti a Wimbledon nel 1979. L’incompiuta».
Fabio Fognini la diverte?
«Gioca bene a tennis, fatica solo a tenere la concentrazione».
Il prossimo matrimonio con Flavia Pennetta può aiutarlo?
«A me il matrimonio non disturbò, anzi. Ma non è il matrimonio che sposta, sono i figli. Consiglio di farne subito uno».
Roger Federer vincerà ancora uno Slam?
«Per esprimersi all’altezza dei primi 3 -4 deve essere perfetto dal punto di vista fisico, allora ha possibilità».
Nadal può farcela per la decima volta a Parigi?
«A Montecarlo l’ho rivisto tonico e guizzante, poi dipende anche da Djokovic. A Roma si capirà. Al Roland Garros, dove si gioca 3 set su 5, Djokovic oggi è il più forte, l’anno scorso ha avuto solo la sfortuna di trovare un Wawrinka in grande giornata».
Dopo Federer e Nadal, il diluvio?
«Dietro non vedo grandi personaggi. Non è certo Nishikori che può creare palpitazioni, e Raonic ha sorriso solo alla nascita. Quando se ne andranno loro sarà un brutto colpo per il tennis».
È tornato a fare telecronache: si diverte ancora?
«Soprattutto quando gioca Federer. Mi diverto perché mi trovo bene con Gianni Ocleppo e tutto il team di Eurosport».
A Parigi quest’anno sarà lei a premiare il vincitore...
«Mi fa piacere molto piacere, anche perché sarà la prima volta che rimetterò piede sul centrale».
A Roma nessuna celebrazione?
«Domani pomeriggio – sulla prestigiosa terrazza del Foro Italico – hanno organizzato un incontro fra la squadra che vinse la Davis nel 1976 e le ragazze che vinsero la Fed Cup 10 anni fa. Purtroppo, per impegni precedentemente assunti, non potrò essere presente».
Prima o poi al Foro le intitoleranno un campo.
«Per carità. Secondo me i campi vanno dedicati solo a chi muore. E io ancora non ambisco a quell’onore».