Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  maggio 11 Mercoledì calendario

Trump ha bisogno di soldi

La favola di Donald Trump che si autofinanzia la corsa alla Casa Bianca è finita. Come tutti i comuni mortali, anche lui avrà bisogno dei donatori per raccogliere il miliardo e mezzo di dollari che stima necessario a vincere. Infatti ha già nominato un responsabile del fund raising, Steven Mnuchin, che guarda caso viene dal gigante di Wall Street Goldman Sachs.
I problemi da risolvere però sono tre: primo, fare in tempo a recuperare tutti i soldi necessari, partendo così in ritardo; secondo, sanare le divisioni nel Partito repubblicano, per ottenere l’appoggio di tutti i grandi donatori; terzo, soddisfare le richieste di questi donatori senza deludere gli elettori, che finora avevano votato Donald perché si finanziava da solo, e quindi non era corruttibile o condizionabile dalla macchina dei contributi elettorali gestita dall’establishment.
Uno degli argomenti più forti usati da Trump all’inizio delle primarie era che, essendo miliardario, avrebbe pagato la campagna con i propri soldi. Quindi poteva promettere quello che voleva, e poi mantenerlo, perché non avrebbe dovuto rispondere a chi staccava gli assegni per lui. Da allora in poi ha speso circa 40 milioni di dollari, cioè molto meno dei suoi avversari, perché ha costruito una piccola squadra, e ha avuto la fortuna dei media che in pratica gli hanno fatto pubblicità gratuita. Siccome con le sue uscite faceva salire l’audience, le televisioni trasmettevano in diretta i suoi comizi e lo intervistavano in continuazione, quasi senza contraddittorio. Secondo alcune stime, in questa maniera gli hanno regalato l’equivalente di circa 2 miliardi di dollari in pubblicità. Ora però questa fase è finita: primo, perché la campagna presidenziale nazionale richiederà almeno un miliardo per essere condotta, non solo con gli spot; secondo, perché ora che è il candidato ufficiale, e la linea scelta dalle televisioni durante le primarie è stata duramente criticata, i network saranno costretti a smettere di promuoverlo gratis. Terzo – ma questa è solo un’illazione – perché Trump non sarebbe così liquido come dice, e quindi non avrebbe comunque un miliardo e mezzo di dollari da investire nella corsa alla Casa Bianca. Quindi ha nominato Steven Mnuchin come capo del fund raising, e sta discutendo col Partito repubblicano un accordo per usare le sue strutture di finanziamento. Nel frattempo ha già accettato di tenere un evento a pagamento in New Jersey a metà maggio, il cui ricavato andrà al suo sostenitore della prima ora e capo del «transition team» Chris Christie, in modo da aiutare il governatore a ripagare i debiti della propria fallimentare campagna presidenziale.
Trump avrà poco tempo per costruire la sua macchina, e quindi avrà bisogno dell’aiuto dell’establishment, ma ha diviso il partito e quindi non tutti sono disposti ad aiutarlo. Alcuni miliardari, tipo il magnate dei casinò Sheldon Adelson e quello dei media Stanley Hubbard, hanno segnalato la disponibilità a sostenerlo. Altri però, come i potenti fratelli petrolieri David e Charles Koch, o il finanziatore di Marco Rubio Paul Singer, sono freddi. Anche American Crossroads, il gruppo guidato dall’ex guru di Bush Karl Rove, chiede mutamenti di linea e di atteggiamento prima di aprire il portafoglio. Ma se Donald accetterà il baratto, e in cambio dei soldi abbasserà i toni o aggiusterà i programmi, gli elettori che lo hanno spinto durante le primarie resteranno con lui fino a novembre?