Corriere della Sera, 11 maggio 2016
Non potendo impacchettare i Musei Vaticani stavolta Christo si limita a impacchettare dei dvd
«Cosa penso di papa Francesco? È un pontefice molto moderno. Perché ha capito che esiste una realtà contemporanea in inarrestabile evoluzione. Ci fa i conti. Non è un’accettazione, ma una comprensione. Insomma, non fa finta di niente, come tanti politici...».
Christo, al secolo Christo Vladimirov Yavachev, classe 1935 ma una elasticità fisica sorprendente, è a Roma per un progetto piccolo e insieme grande. Non potendo impacchettare i Musei vaticani (come fece con le Montagne rocciose nel 1972, con Porta Pinciana a Roma nel ’74 o col Reichstag di Berlino nel 1995) ha simbolicamente chiuso in un involucro di plastica semi-opaca i dvd Alla scoperta dei Musei vaticani con Alberto Angela prodotti dal Centro televisivo vaticano e Officina della comunicazione. Christo donerà oggi l’opera (Christo’s box) alla Santa Sede nella Pinacoteca vaticana, alla presenza di Antonio Paolucci, direttore dei Musei vaticani, e di monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione. E 300 repliche, firmate dall’artista, verranno battute all’asta da Christie’s per sostenere l’Ospedale pediatrico di Bangui in Centrafrica.
Christo sta girando per Roma, ieri pomeriggio ha visitato Cappella Sistina e Musei vaticani, quindi le Stanze vaticane con la Scuola di Atene: lì Christo ha scelto l’immagine che appare sull’involucro, la figura accanto ad Aristotele, il cugino di papa Giulio II. «L’ho scelta perché ci parla con lo sguardo, mentre ci osserva delicatamente. Ho visto anche qualcosa di femminile perché cerco continuamente le donne nell’arte, mi piacciono molto...». Il suo rapporto con Raffaello è antico, risale a quando da ragazzo seguiva gli studi all’Accademia delle arti di Sofia, nella sua Bulgaria: «Impossibile dire cosa significhi per me. Il mio dialogo con gli artisti del passato è continuo. E nelle mie opere mi è capitato spesso di usare carta di giornali in cui apparivano celebri opere».
Poi parla della sua fuga dall’Est nel gennaio 1957 da Praga, dove si era trasferito: «Scappammo in tanti dopo la Rivoluzione di Ungheria alla fine del 1956. In Austria c’erano 250 mila profughi. Voglio ricordarlo oggi, vedendo ciò che accade... Io sono idealmente uno di loro, quando arrivai a Vienna sapevo parlare solo russo e bulgaro, sopravvissi lavando macchine e facendo ritratti per strada. Come tanti oggi, ma allora ci fu una grande solidarietà».
Si sente un uomo religioso? «No. Mi sento un essere umano ubriaco della realtà, adoro camminare, sentire il vento, il caldo e il freddo sul corpo, parlare con le altre persone senza ricorrere alla realtà virtuale. L’ultimo mio progetto proprio qui in Italia al Lago d’Iseo (The floating piers, la passerella di tre chilometri tra Sulzano e l’isolotto di Montisola, ndr) mi ha attirato proprio per la possibilità di immergermi ogni giorno nella natura, negli orizzonti delle montagne, accanto all’acqua del lago». Il rapporto tra arte e fede sembra in forte crisi... «Nell’umanità di oggi c’è tanta religiosità legata a molte, diverse fedi. E l’arte dialoga continuamente con l’umanità».
Inevitabile parlare di lei, dell’amatissima moglie-coautrice di tante opere Jean Claude Denat de Guillebon, scomparsa nel 2009: «Ci siamo conosciuti nel 1958 e decidemmo di stare insieme dopo che le feci il ritratto. Per la prima volta impacchettai un’opera e misi la mia firma attuale, Christo, fino a quel momento avevo usato il cognome Yavachev. Eravamo nati nello stesso giorno, mese e anno, 13 giugno 1935, sotto i gemelli, segno doppio, per lei il nostro era un mènage à quatre. Mi mancano i suoi giudizi molto esigenti. Mi chiedo continuamente: cosa direbbe Jean Claude?».