la Repubblica, 11 maggio 2016
Fermati i tre jihadisti che volevano colpire il Colosseo
Avevano grandi disponibilità di denaro, frutto di un fiorentissimo traffico di esseri umani. Effettuavano sopralluoghi filmando con il telefonino i possibili obiettivi di un attentato: il Colosseo, l’aeroporto e il porto di Bari, i centri commerciali in Italia e gli alberghi a Londra. E, da qualche mese, avevano sposato completamente la causa del Califfato, scaricando dalla rete materiale jihadista e organizzando tra l’Italia e la Francia un gruppo pronto a colpire.
«Non ci risulta che fosse imminente un attentato», dice il procuratore di Bari Giuseppe Volpe, ma la presunta cellula terroristica sgominata ieri a Bari assomiglia tanto a un pericolo sventato. I sostituti procuratori distrettuali antiterrorismo di Bari, Giuseppe Drago e Roberto Rossi, hanno ordinato ieri il fermo di cinque persone, quattro afgani e un pakistano: Qari Khesta Mir Ahmadzai (30 anni) Surgul Ahmadzai (28), Hakim Nasiri (23), quasi tutti domiciliati al Cara di Bari, sono accusati di terrorismo internazionale mentre Gulistan Ahmadzai (29) e il pakistano Zulfiqar Amjad (23) di immigrazione clandestina. All’appello mancano i primi due, che a dicembre hanno preso un volo per Kabul.
LA RADICALIZZAZIONE
L’indagine dei carabinieri del nucleo investigativo di Bari, coadiuvati dal Ros, è iniziata quasi per caso, quando alcuni vigilantes hanno segnalato la presenza di quattro stranieri che filmavano l’ipermercato Ipercoop Santa Caterina di Bari. Erano in tre, sono stati identificati e da quel momento sono partite le indagini. È emerso infatti che almeno Khesta Mir, Surgul e Hakim da qualche tempo frequentavano siti jihadisti di primo piano dai quali scaricavano materiale non banale. «Nel telefono di Khesta Mir – scrive la procura nel decreto di fermo – i carabinieri hanno trovato materiale ideologico di odio antioccidentale, contro alte religioni, il richiamo a simboli occidentali da distruggere, oltre all’adesione dell’ideologia della guerra santa e al martirio violento dei Kamikaze». Inoltre sono stati trovati molti file audio con istruzioni per l’addestramento dei kamikaze, una sorta di tutorial della guerra santa che è possibile scaricare, annotano i magistrati, «da siti non accessibili se non si è ammessi tramite password». La radicalizzazione, dunque, era in atto. Mentre restano, secondo gli investigatori, poco chiare e per questo molto preoccupanti le decine e decine di fotografie e soprattutto i video trovati all’interno dei loro telefonini.
I VIDEO COL TELEFONINO
Due video di 30 secondi l’uno dimostrano che il gruppo aveva filmato, soffermandosi su alcuni particolari, due luoghi sensibili e «anomali»: la sala di attesa dell’aeroporto Karol Wojtyla e, appunto, il centro commerciale che si trova nella periferia della città. Contemporaneamente ci sono foto di almeno cinque alberghi di Londra, così come di monumenti a Roma (dal Colosseo ai Fori imperiali) piuttosto che scatti a Trieste e in Grecia. Se alcuni possono essere interpretati come semplici cartoline turistiche, sono particolarmente inquietanti i filmati. «La documentazione fotografica e video è relativa, non a luoghi di valore turistico, visitati insieme ma a veri e propri sopralluoghi compiuti insieme di luoghi e personaggi istituzionali. Infatti le immagini non avendo alcun valore turistico possono essere lette si possono leggere solamente come sopralluoghi da parte della cellula al fine di commettere attentati» scrive la Procura. Il riferimento a personaggi istituzionali è invece legata al selfie scattato durante una manifestazione da Hakim Nasiri con il sindaco di Bari, Antonio Decaro.
I KALASHNIKOV E LE PISTOLE
A rendere necessario il fermo dei cinque è anche la disponibilità, vera o presunta, di armi. Nel telefono di Khesta Mirha sono state trovate le foto di quattro kalashnikov Ak 47 e di un «mezzo militare da ricognizione in uso all‘esercito statunitense ed attualmente utilizzato anche da altri paesi come, nel caso di specie, dall’Afghanistan» scrivono i magistrati. «Nasiri – aggiungono – è immortalato, all’interno di un negozio di alimentari, mentre imbraccia unM16. All’interno della memory card vi sono altri tre scatti che immortalano – con la medesima arma e nelle medesime circostanze di tempo e luogo – un altro soggetto allo stato non identificato». Non solo. In alcune intercettazioni telefoniche uno degli arrestati, Gulistan, cerca due «fionde». «Mi servono per forza! Mi servono due pezzi» dice a un amico. I carabinieri non hanno dubbi: sono armi, probabilmente pistole.
IL LIBRO MASTRO
A cosa servivano? In base ai risultati dell’inchiesta, non per compiere attentati. Più probabilmente erano gli “strumenti” per un regolamento di conti interno, per capire chi doveva dirigere il business principale del gruppo: il traffico di essere umani. Khesta Mir, come sembrerebbe aver confermato ieri uno dei fermati, è considerato uno dei principali trafficanti di Europa. Nel giro di sei mesi hanno gestito 600 migranti, «dai 3.300 euro ai cinquemila euro l’uno» dicono loro stessi nelle intercettazioni telefoniche. Tutto era annotato in un libro mastro, di cui gli investigatori hanno trovato alcune pagine. Sette città visitate in nove giorni: da Bari a Londra, da Londra a Roma, da Roma a Parigi. La base operativa era il Cara di Bari, dove avevano lo status di rifugiato. Ma gli affari arrivavano fino all’Ungheria e a Calais. «L’importante è farli arrivare in Grecia – dicevano al telefono – da lì in poi non c’è nessun controllo».