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 2016  maggio 11 Mercoledì calendario

Carte prepagate, così vengono remunerati gli operai romeni che montano i palchi per le star della musica, da Vasco agli U2

 
«Vasco Rossi, Bruce Springsteen, Madonna, gli U 2, Jovannotti, Laura Pausini, Renato Zero...».
Sul palco del concerto e davanti ai fan che applaudono ci sono loro: gli artisti, i cantanti. Sotto c’era chi li ricorda, il romeno Jorda Georgel: «Abbiamo montato i palchi delle star senza un vero contratto e restando esposti a ogni rischio. Una volta ho lavorato settantadue ore di fila, a parte la pausa per pranzo e cena. Facevo due lavori insieme, passavo dal concerto allo stadio a quello dell’ippodromo, sempre a caricare e scaricare, montare e smontare metalli», ricorda. Ha 34 anni, le spalle larghe da pugile, e seduto accanto a lui c’è Julian Cotoi, il caposquadra, magro e con un migliore italiano: «Tra noi Jorda è famoso per le lunghe tirate. Ti ricordi a Monza? È riuscito a montare il palco per quarantott’ore di fila. Anche Marian Caval era fortissimo, faticavano in coppia, finché – racconta -Caval non ce l’ha fatta più, adesso come lavoro chiede la carità in Svizzera, gira con la moglie e le foto dei bambini sulle magliette». Il mondo delle «carovane», come si chiamano in gergo le cooperative che a Milano mandano avanti i concerti, ma anche le fiere, i traslochi e, addirittura, i «carico-scarico» dei trasporti internazionali, sembra godere, agli occhi dei romeni, di una totale impunità: «Molti hanno avuto visita della Guardia di finanza, però non cambia niente e nessuno vuole vedere davvero quello che succede a San Siro. Sei sicuro che l’articolo esce?». Gli operai romeni squadernano davanti a Repubblica una mazzetta di tessere bancarie: «Ci pagano così».
Così come? «Molti di noi hanno un contratto di collaborazione per un tot di ore, in modo da raggiungere circa 700 euro al mese, con tanto di bonifico alla banca, se uno ha una banca. Ma – dicono, rubandosi la parola l’uno con l’altro – per il resto delle ore, quelle che fai davvero e che non sono segnate sul contratto, arriverà l’accredito sulla tessera prepagata. Una volta ci contavano le banconote davanti, adesso hanno inventato questo sistema per non pagare le tasse. “È più sicuro” hanno spiegato. In effetti, i soldi arrivano sempre». In Lombardia come in Sicilia, il lavoro nero è talmente «profondo nero» da andare oltre l’immaginazione. Una parola tira l’altra e il racconto degli scaricatori romeni ci porta all’interno di una grande impresa internazionale alle porte di Milano. È qui che si organizzano i carichi che ad alta quota solcano gli Oceani. I titolari conoscono chi riempie le stive?, è la domanda. Per risposta c’è la risata che si riserva agli ingenui: «Quando io entro nell’azienda dove lavoro (ne fa il nome, ndr) metto il dito su un sensore, per l’impronta digitale, e passo, ma i responsabili – spiega uno, gli altri annuiscono – non sanno nemmeno come mi chiamo». E quale senso avrebbe, allora, la rilevazione dell’impronta? «Il dito – spiega il caposquadra Julian – funziona come un badge, a contare le ore di lavoro». L’impronta stabilisce a che ora un lavoratore entra e a che ora esce, tutto qui? Esatto, continua l’operaio, «infatti io non ho un contratto». Com’è possibile? «L’azienda fattura le mie ore alla cooperativa che mi ha mandato qui, contano le ore che ho fatto e mi pagano in base a quelle». E quanto lavorate? «Trecento ore al mese circa, anche se il Cud è di 4, 5mila euro l’anno».
Se c’è così tanto bisogno di gente e di braccia, non possono assumervi?». Altra risata: «Se uno viene assunto e sta a casa, lo paghi due volte. Con noi è meglio. Oggi servono duecento persone? La cooperativa te le dà. Te ne servono di più, trecento? Nessun problema, la cooperativa te ne dà trecento. Uno è malato? Cavoli suoi, ne prendi un altro al volo», dice il caposquadra. Questi uomini hanno lavorato con varie cooperative, ma dietro «le varie sigle e i prestanome», così dicono, c’è un settantenne, nel mondo delle cooperative da sempre, «si chiama Cristofaro Palumbo». Breve ricerca: è già finito nel 2010 al centro di inchieste giudiziarie, i flussi finanziari sui suoi conti correnti superavano l’intero volume d’affari delle cooperative, gli sono stati trovati più di 500 dipendenti in nero.
Palumbo non parla: «Non posso dire niente, ciao». E «cause ci sono state, sì, e anche sentenze positive per Cristofaro», puntualizza l’avvocato civilista Rocco Lasaponara. Impossibile saperne di più: «Noi – ripetono gli operai romeni – siamo a disposizione, se i giudici vogliono sentirci, andiamo, non vediamo l’ora, magari prendiamo un po’ di liquidazione». Vivono alla giornata, aspettando a Milano una «carovana» qualsiasi.