Corriere della Sera, 10 maggio 2016
Giorgio Napolitano ha scritto un libro che parla d’Europa
Una delle persone più frequentemente citate nell’ultimo libro di Giorgio Napolitano (Europa, politica e passione, una raccolta di pubblici interventi, preceduti da una lunga introduzione) è Altiero Spinelli, autore con Ernesto Rossi del Manifesto di Ventotene e protagonista di una lunga marcia europea sino al suo «Trattato istitutivo dell’Unione», approvato dal Parlamento di Strasburgo nel febbraio del 1984.
Credo che nell’ammirazione dell’ex presidente della Repubblica per Spinelli vi sia un fattore personale. Spinelli si iscrisse al Partito comunista nel 1924 e partecipò al Congresso clandestino di Lione nel 1926.
Era comunista, dunque, quando venne arrestato e processato nel 1927; e fu comunista per buona parte del tempo trascorso in carcere. Ma nel 1937, dopo lunghe discussioni con i compagni di prigionia, lasciò il partito. Spiegò che la sua adesione al comunismo era stata una reazione internazionalista ai bellicosi nazionalismi europei e che i suoi dubbi avevano cominciato a manifestarsi quando capì che l’internazionalismo sovietico era soltanto l’ipocrita veste assunta dal nuovo nazionalismo russo di Stalin. La scelta europea divenne da quel momento, per Spinelli, la sola che rivendicasse la sua coerenza e desse un senso alla sua vita.
Il percorso di Napolitano è stato diverso e influenzato probabilmente da un sentimento di forte lealtà per alcune delle persone con cui aveva iniziato la sua vita politica. Ma oggi, con la saggezza del tempo trascorso, è convinto che gli errori del Pci comincino nel momento in cui il partito rifiuta di riconoscere la novità del movimento europeo e le prospettive aperte dai leader europeisti del secondo dopoguerra. Non scelse la rottura, come Spinelli, ma non smise mai di sostenere tutto ciò che avrebbe avvicinato il Pci alle nuove istituzioni dell’Europa. Persino l’eurocomunismo, in un momento in cui la Guerra fredda congelava il rapporto fra i due blocchi, gli sembrò un passo nella giusta direzione.
Non è sorprendente che alla fine degli anni Ottanta, mentre il sistema sovietico cominciava a traballare, Napolitano, nella classe politica creata dal Pci, fosse l’uomo più preparato ad assumere nuovi ruoli e nuove responsabilità a Strasburgo e a Roma.
Non è sorprendente, per le stesse ragioni, che quanto sta accadendo oggi in Europa sia per Napolitano motivo di molta amarezza. I segni della crisi sono evidenti e preoccupanti, ma in un’epoca contrassegnata da euroscetticismo e da un populismo denigratore, Napolitano non commetterà mai l’errore di rinunciare all’analisi critica e alla speranza. Constata il declino dell’ideale europeo nella società, la rinascita dei nazionalismi più gretti e reazionari, la mancanza di leadership nelle classi dirigenti, gli effetti deprimenti della recessione e della stagnazione. Ma lo confortano altre due costatazioni.
In primo luogo la crisi finanziaria ha avuto l’effetto di rafforzare il ruolo di una istituzione (la Banca centrale europea) e di creare altri organismi super nazionali come il Meccanismo europeo di stabilità e l’Unione bancaria. In secondo luogo è sempre più evidente che mai come ora l’Europa è altrettanto necessaria. Quale Paese europeo sarebbe in grado di affrontare da solo le grandi questioni del momento, da quella del Medio Oriente a quella delle grandi migrazioni? Quale singolo Stato potrebbe fare valere i suoi interessi nei negoziati per creare grandi aree di libero scambio su scala continentale e affrontare la sfida del riscaldamento climatico?
Dallo spettacolo di questo «paesaggio con rovine» che sembra essere l’Europa del Ventunesimo secolo, Napolitano trae la conclusione «che è venuta l’ora di un chiarimento». Occorre uscire da questa ambigua convivenza tra due opposte convinzioni: quella di coloro che «non vanno al di là di una circoscritta cooperazione tra Stati» e quella di coloro «che si ripropongono di condividere più sovranità gestita insieme al livello sovranazionale».
Vi è una scadenza vicina, il referendum britannico, che potrebbe rendere il chiarimento ancora più urgente e necessario.
La scelta di Napolitano è chiara e, per quanto mi riguarda, totalmente condivisibile. Occorre salvaguardare «la presenza e l’apporto britannico nel più vasto quadro dell’Unione Europea».
Ma occorre anche permettere che i Paesi dell’eurozona possano procedere insieme verso «una sempre più stretta unione (...) senza farsi bloccare da veti e interferenze».