La Stampa, 10 maggio 2016
Giorgio Minisini, il primo sincronetto maschio della Nazionale che andrà a Rio beato fra le donne
L’Italia esce dall’acqua di Londra con un bronzo dopo un solo giorno di Europei. Arriva una medaglia nella piscina dove siamo naufragati alle Olimpiadi, per giunta nel sincronizzato: la squadra non si era neppure qualificata 4 anni fa e ora ha il pass per Rio e un podio all’attivo. Il terzo posto nel team tecnico è solo l’inizio, ci sono 9 gare e la possibilità di fare l’en plein. È una nuova era e Giorgio Minisini, primo sincronetto maschio della Nazionale, è un esperto di frontiere inesplorate.
Che sta succedendo?
«Le ragazze sono bravissime, lo erano anche prima. Ora c’è persino più energia perché i giudici sono un po’ usciti dagli schemi fissi: credo dipenda in parte anche dall’arrivo del doppio misto».
Avete sconvolto le gerarchie?
«Li abbiamo obbligati a guardare fuori dai soliti canoni. Sul podio non si vedono più sempre le stesse squadre ed è un bene pure per il pubblico. Come può aumentare l’interesse se la gente vede nazionali che festeggiano il sesto posto come la vittoria? Però se sai che quello è il tetto la vivi così. Invece adesso si è risvegliata la competizione. Siamo stati uno shock per un mondo abituato a muoversi molto lentamente».
Come si vive in un mondo di sole donne?
«Quando lavoriamo non c’è differenza. Otto ore al giorno, a volte nove, per sei giorni su sette: è un massacro che non prevede sfumature. Nel tempo libero a volte loro si fanno più paranoie del dovuto, ogni problema si gonfia di chiacchiere. Noi ragazzi siamo più semplici, lasciamo correre».
È diventato il confidente del gruppo?
«Sono un buon ascoltatore. Mi sono allenato con la squadra junior preparata da mia madre e dalla mia fidanzata».
Altro gineceo.
«Per le chiacchiere tra maschi dovrei aspettare una generazione. Mi sostiene mio padre che è giudice di gara».
Le compagne la coinvolgono in sessioni di trucco?
«A volte urlano “vieni qui che ti facciamo le unghie”. Io scappo».
Altri suoi colleghi però amano gli occhi bistrati e le paillettes.
«Non mi piace eccedere sulla teatralità, evito costumi eccessivi. Il nostro sport è simile al pattinaggio artistico, in bilico tra show e agonismo: spingere troppo in una direzione è rischioso. Il bello è che siamo pionieri, sta a noi dare una faccia alla specialità».
Crede che i ragazzi debbano ancora superare l’imbarazzo?
«Vedo bambini di 5 o 6 anni in piscina. A quell’età è tutto naturale, prima non li facevano provare, oggi sì e i genitori non sono più in difficoltà. La pubblicità aiuta».
Si sente un poster?
«Un po’, però io non sono mai stato imbarazzato, solo entusiasta e sono felice che il messaggio sia stato recepito. Questi Europei sono importanti. Bisogna continuare a farsi vedere e dopo i due bronzi mondiali vogliamo migliorarci».
Perché non ci sono uomini negli esercizi di squadra?
«È l’anno olimpico, non si rompono gli equilibri. Ci vuole tempo. Quando il sincronetto smetterà di essere una curiosità si apriranno altre porte».
Come le Olimpiadi?
«Dipende da noi. Più interesse c’è, più sarà facile. Tra quattro anni sarebbe un sogno, tra otto è possibile. Siamo ancora pochi».