La Stampa, 10 maggio 2016
Non c’è più niente da fare per Platini. Il Tas gli ha dato quattro anni di squalifica
Se è vero che solo chi cade può risorgere, a Michel Platini non resta che aspettare il 2019 per rimettersi in piedi. E già questa scadenza, non proprio dietro l’angolo, dà il peso della sentenza: quattro anni di squalifica, a partire dal 2015. Confermato dunque il conflitto di interessi: è il verdetto del Tas sulla vicenda che riguarda l’ex presidente dell’Uefa e quel velenoso pagamento postdatato di 2 milioni di franchi svizzeri ricevuti da Blatter nel 2011 per una consulenza triennale stipulata nel 1999. Dal macigno della prima sentenza, otto anni di squalifica, i successivi gradi di giudizio ne hanno erosi prima due e poi altri due fino al verdetto di ieri. Il tribunale, si legge nelle motivazioni, «non è convinto della legittimità di quel pagamento» e soprattutto guarda con sospetto la tempistica: giusto 4 mesi prima delle elezioni Fifa, quelle che vedevano in corsa proprio Sepp Blatter e Mohammed Bin Hamman. Insomma, non c’è la pistola fumante ma i proiettili probabilmente sì: tanto è bastato per far cadere Le Roi. Nella sentenza ce n’è anche per la Fifa che, pur sapendo del pagamento fin dal 2011, non ne ha parlato al comitato etico fino al 2015. Insomma, rivelazioni a orologeria. Svizzera come il colonnello Sepp, infine nemico di Platini.
Prima mossa
Una decapitazione con uno sconto che non può soddisfare Platini. Non lo riabilita da un punto di vista giuridico-sportivo né dal punto di vista operativo. Tanto che la prima mossa del tre volte Pallone d’Oro sono state le dimissioni da presidente, anche per liberare l’Uefa dall’impasse. «Prendo atto della decisione del Tas ma la vivo come una profonda ingiustizia. Il futuro? La vita mi ha sempre riservato belle sorprese, sono pronto a viverle. Proseguirò la mia battaglia davanti ai tribunali svizzeri per dimostrare la mia onestà». La giustizia ordinaria, quel percorso fuoristrada che con l’istituzione del Tas, il tribunale per i casi sportivi, Platini intese scongiurare. Deroga ad personam. La sua.
Pratiche inevase
Ma che cosa succederà ora all’Uefa? Il primo passo sarà il comitato esecutivo fissato a Basilea il 18 maggio in occasione della finale di Europa League: verrà scritta la road map che dovrebbe portare all’elezione del nuovo presidente tra settembre e ottobre. Ora che Michel è a fine corsa, partiranno le grandi manovre: mettere d’accordo 55 federazioni non sarà semplice, «venire dopo Platini è molto impegnativo, spero che la campagna elettorale non diventi una guerra, altrimenti c’è il rischio che perdano anche i vincitori», dice Giancarlo Abete, attuale vice presidente Uefa che non ha intenzione di candidarsi ma che di strategie se ne intende eccome. Sul tavolo di Nyon, inevase, ci sono le pratiche che riguardano il nuovo format delle coppe europee e il rapporto con i club: questioni di cui i candidati non potranno non tenere conto.
Ma chi saranno? Non l’attuale presidente reggente (lo spagnolo Villar), probabilmente i presidenti della federazione olandese (Michael van Praag) e portoghese (Fernando Gomes). Pare certo che il blocco dei Paesi dell’Est (che ruota intorno al ministro dello sport russo Mutko) farà la voce grossa e anche un nome da mettere sul tavolo. È già circolato anche il profilo di Pierluigi Collina, confermato per ora alla guida degli arbitri in Uefa: potrebbe seguire Gianni Infantino alla Fifa o invece scalare l’Europa.
Per ora, solo schermaglie. Fuori Platini, è saltato il tappo. Alla Juve, via Le Roi, presero Magrin per sostituirlo e non andò benissimo. L’Uefa può fare certamente di meglio.