Corriere della Sera, 10 maggio 2016
Travolto da migranti e ultradestra si è dimesso il cancelliere austriaco
Era sotto fuoco amico da settimane per le scelte sull’immigrazione e certe rigidità contestate dai giovani e dai pragmatici del partito. Ieri il cancelliere Werner Faymann si è dimesso da capo del governo e dei Socialdemocratici della Spö «per mancanza di sostegno»: l’Austria va incontro a un’instabilità che il vice cancelliere Reinhold Mitterlehner, subentrato temporaneamente alla guida dell’esecutivo, ha subito tentato di scongiurare escludendo elezioni anticipate rispetto alla scadenza del 2018. Tocca al sindaco di Vienna Michael Häupl rilevare la leadership ad interim del partito, che entro otto giorni sceglierà il nuovo capo (e probabile cancelliere in uno scenario che non dispiacerebbe al presidente della Repubblica Heinz Fischer, di provenienza socialdemocratica). Favoriti il manager delle Ferrovie di Stato Christian Kern e l’ex dirigente della tv pubblica Orf Gerhard Zeiler.
Le dimissioni di Faymann sono un effetto della reazione a catena innescata dal primo turno delle presidenziali del 24 aprile, con l’eliminazione dei candidati delle due grandi forze che dominano la scena austriaca dal Dopoguerra e che oggi governano in coalizione, Socialdemocratici e Popolari. Sia Rudolf Hundstorfer della Spö che il conservatore Andreas Khol dell’Övp si sono fermati all’11%. Al ballottaggio del 22 maggio il campione dell’estrema de-stra Norbert Hofer, che nella prima tornata ha trionfato con il 36% dei consensi, sfiderà l’indipendente ecologista Alexander Van der Bellen (21,3%). Il consenso per la coalizione è ai minimi storici: le due formazioni raggiungono insieme circa il 20%, contro l’oltre 30% della Fpö nei sondaggi.
Voto di protesta contro le tradizionali strutture di potere che non tengono il passo delle nuove emergenze, prima fra tutte quella dei rifugiati. Nel solo 2015 Vienna ha registrato 90 mila richieste di asilo su una popolazione di otto milioni e mezzo, proporzione tra le più alte della Ue. E il 2016 è cominciato con l’allarme del ministero dell’Interno sui 300 mila arrivi attesi dall’Italia, prima destinazione dei migranti che salpano dalle coste libiche verso l’Europa. Polemica ridimensionata negli ultimi giorni, con l’approvazione espressa dall’Austria per il Migration Compact proposto da Roma e le rassicurazioni sui controlli al valico di frontiera del Brennero. La minaccia di alzare una barriera al confine con l’Italia rientrava nel generale tentativo di inseguire la destra xenofoba in ascesa e di strappare alla Fpö, il Partito della libertà di Hofer guidato da Heinz-Christian Strache, il monopolio del dibattito sulla sicurezza. Con le dimissioni del cancelliere il governo tenta un’estrema manovra di riposizionamento per riguadagnare terreno.
Le presidenziali sono state però anche un voto calamita per l’inquietudine crescente rispetto alla disoccupazione in (lieve) aumento, arrivata quasi al 6%, come dimostra la serie di sconfitte della Spö alle amministrative che ha preceduto l’ultima disfatta.
Cinquantasei anni, studi universitari mai conclusi in Legge, Scienze politiche e Storia dell’arte, in passato Faymann ha lavorato per brevi periodi come tassista ed è cresciuto nel ramo viennese della Spö. Chiamato a risollevare il partito dopo la destituzione di Alfred Gusenbauer e arrivato alla guida del governo nel 2008, è considerato un maestro nell’arte del compromesso e delle inversioni di rotta – vedi l’inasprimento della linea sull’immigrazione.
È la caduta di un politico abituato a navigare in acque agitate, che nell’ultima mareggiata non ha ceduto, vietando a oltranza qualsiasi apertura a scenari di coalizione con la Fpö a livello federale.
Ora lo aspetta una pausa di qualche mese «per riflettere». Per il futuro, dice al quotidiano Tageszeitung, non gli dispiacerebbe «un ruolo attivo nell’Unione Europea». Quell’Europa che ha un nuovo osservato speciale a nord del Brennero.