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 2016  maggio 10 Martedì calendario

Marisa Bruni Tedeschi scrive un libro e svela alcuni segreti di famiglia: «D’altra parte se bisogna scrivere delle memorie senza sincerità allora meglio astenersi»

Anais Ginori per la Repubblica
Parigi Le giornate di Marisa Bruni Tedeschi cominciano sempre al pianoforte, davanti a uno spartito di Bach. «È la mia preghiera laica» spiega nel suo appartamento parigino, seduta su un enorme divano di velluto verde, con le inseparabili sigarette alla menta posate sul tavolo di marmo. La madre di Valeria e Carla, che è stata per anni pianista concertista, ha deciso di raccontare i suoi ottantasei anni di vita vissuta, in una famiglia da sempre in bilico tra due paesi, venuta dal nonno francese, Gilbert Planche, inventore e politico radical-socialista, e da quello italiano, Pietro Borini, muratore che «partiva con la polenta in tasca». Il suo lungo mémoire appena pubblicato, Mes chères filles, je vais vous raconter..., è stato scritto in francese. «Curiosamente, perché penso e parlo con le mie figlie sempre in italiano» osserva con un’aria sbarazzina. Nell’autobiografia parla del lungo matrimonio con l’industriale e compositore Alberto Bruni Tedeschi, rivela passioni e amanti, ma affronta anche momenti tragici, come la scomparsa del figlio Virginio. Tra qualche giorno sarà a Cannes per il nuovo film di Paolo Virzì insieme a Valeria, e continua ad avere un’agenda frenetica per la promozione del libro. «Prima di stamparlo, l’ho fatto leggere alle mie bambine».
Come hanno reagito?
«Si sono divertite. Carla mi ha mandato un messaggio: “Mamma, è spassoso”. Anche se svelo alcuni segreti, non se la sono presa. D’altra parte se bisogna scrivere delle memorie senza sincerità allora meglio astenersi. Ho vissuto in una famiglia borghese in cui molte cose non andavano dette. Nel libro cerco di essere il più onesta possibile. Ci saranno persone, magari nella famiglia di mio marito, che si scocceranno. Pazienza».
Chi le assomiglia di più tra le sue figlie?
«Valeria è una donna abbastanza nevrotica, instancabile, che riesce a far quadrare tutto seppure in un apparente disordine. Carla è più regolare, si confida meno, è determinata. Ha mandato a diciannove anni una foto a un’agenzia di mannequin. Poi a 29 anni ha deciso di smettere la moda per fare la musica. Ero scettica, e invece è riuscita. E poi ha fatto pure la première dame».
Come ha accolto l’arrivo di Nicolas Sarkozy in famiglia?
«Quando è venuto la prima volta nella nostra villa a Cap Nègre si è seduto al posto di mio figlio, che purtroppo non c’era più. Con mio genero ho un ottimo rapporto. Mi ha portato con lui nella visita a Benedetto XVI ma il Papa quel giorno non ha voluto incontrarmi perché Carla e Nicolas non erano ancora sposati. Sono rimasta delusa».
E se pensa all’ipotesi di un ritorno di Carla all’Eliseo?
«Nicolas ha un virus: la politica. Quando si è ritirato, andando in giro per conferenze, non ho mai creduto che fosse davvero finita. Come andrà non lo so. Per mia figlia è più complicato, ma siccome è molto innamorata lo seguirà».
Guardandosi indietro non prova nessun rimpianto?
«Avrei voluto che mio marito e Virginio si parlassero di più. Avevano un rapporto difficile e per evitare il conflitto non ho insistito. L’altro rimorso è non avere detto la verità a Carla sul suo padre biologico. Era difficile. Alla fine è stato mio marito che le ha messo la pulce nell’orecchio. Credo che il problema si sia risolto ormai. Le ho detto: “Hai avuto due padri, entrambi formidabili”. Maurizio Remmert aveva 19 anni, io 35 anni. È stata una bella storia d’amore, non l’unica».
Ha mai pensato di tornare a vivere in Italia?
«Quando nel 1973 ci siamo trasferiti a Parigi per paura dei sequestri, pensavamo di rimanere due anni. Non ci siamo più mossi. Dopo la morte di mio marito abbiamo venduto le case in Italia. Nel castello di Castagneto Po sono tornata alcune volte, anche per girare il film con Valeria, e mi ha fatto tristezza perché è vuoto. Il nuovo proprietario l’ha comprato solo come investimento. Per fortuna la nostra vecchia casa torinese di via Governolo, dove sono nati i miei tre figli, è invece abitata dalla collezionista d’arte contemporanea Patrizia Sandretto».
Qualcosa che sogna ancora di fare?
«Vorrei ospitare a casa due migranti. Sto facendo le pratiche per l’accoglienza. Un mio amico l’ha fatto in Germania. So che in un oceano di miseria è una goccia, ma perché no?».

***

Leonardo Martinelli per La Stampa
Un giorno Marisa Bruni Tedeschi andò sulla tomba del marito, Alberto, imprenditore influente nell’Italia del miracolo economico. E raffinato compositore di musica dodecafonica. Nel cimitero, d’un tratto, dal telefonino rimbalzò uno squillo. Un sms della figlia, Carla Bruni: «Dì a papà che il mio papà è lui». «Era proprio così: lui l’ha allevata e l’ha amata come gli altri nostri due figli».
La signora Bruni Tedeschi, 86 anni, si confida nel suo appartamento a Parigi. Quella vicenda (Carla figlia di una storia che lei ebbe con il musicista Maurizio Remmert) la ricostruisce con garbo e sincerità nel libro appena uscito in Francia, Mes chères filles, je vais vous raconter…, edito da Robert Laffont. Sì, racconta a Carla e a Valeria la vita tra Torino e Parigi. Le origini piccolo-borghesi, la fame durante la II guerra mondiale, i sei bambini impiccati dalle SS in fondo al giardino. Fino alla «rinascita», la vita con Alberto Bruni Tedeschi, la carriera di pianista, viaggi in tutto il mondo. E, negli ultimi anni, i film con Valeria.
Ma davvero le sue figlie non conoscevano tutte queste storie?
«Sapevano pochissimo. Niente dell’infanzia e dell’adolescenza. E non tutto neppure del resto. Comunque, l’hanno trovato spassoso».
Lei racconta pure la Torino fra gli Anni 50 e i 70. Come era?
«Una città elegantissima. Ma non si muoveva niente, sempre le solite facce».
E in quell’ambiente alto-borghese lei e suo marito, una coppia libera, ognuno con storie parallele, eravate speciali…
«Mio padre è morto quando ero molto giovane e così è stato per Alberto con sua madre. Lui è stato come un padre per me. Mi ha insegnato tutto: sull’arte, la musica, la finanza. E io ero come una madre per lui. Gli facevo lo shampoo, gli tagliavo le unghie. Anche quello era amore».
Ma è vero che ancora oggi paga una pensione ad alcune delle amanti di suo suocero, Virginio, il padre di Alberto?
«Cominciammo nel 1974, erano nove allora. Oggi ne sono rimaste due. Sono eterne».
Nel libro c’è anche la sua storia con Arturo Benedetti Michelangeli, il famoso pianista. Finì male, lei fu anche umiliata. Sente dell’amarezza a pensarci?
«Guardi, la ricomincerei oggi pomeriggio quella storia. Fu una passione. E le passioni finiscono sempre male, con uno che soffre e l’altro che ti tratta male. Io lasciai la sua casa in Svizzera di notte e percorsi chilometri da sola nel bosco. Soffrii. Ma fu anche bello».
Rimpianti dopo una vita così intensa, signora Marisa?
«Forse di non aver detto prima a Carla chi fosse il suo vero padre. Lo seppe da Alberto: glielo confessò prima di morire. Ma era difficile spiegarlo a una ragazzina. Ogni tanto le dico: “Non ti lamentare, ne hai avuti due di padri”. E anche Maurizio le è affezionato».
La musica è stata molto per lei. Ma a un certo momento smise di suonare. Quando?
«Il 5 gennaio 1994, dopo aver saputo che Virginio, mio figlio, era malato di Aids. Pensai che potesse morire in tre mesi. Chiusi il pianoforte e mi dedicai a tempo pieno a lui. Facevo il giro dei medici. Poi morì mio marito. Solo dopo che Virginio se ne è andato, nel 2006, un giorno ho riaperto il pianoforte e ho ricominciato a suonare».
Come era Virginio?
«Un contemplativo. Gli piaceva l’alba. E camminare a Venezia alle sei di mattina. A me l’alba dà nostalgia. Preferisco un tramonto rosso fuoco: lo guardo e faccio un sacco di progetti».
Nel libro ricorda anche l’ultimo giorno di suo figlio…
«Era così magro, neanche lo vedevo nel letto, morto. Era Cristo. Scattai una foto. Ogni tanto la tiro fuori dal cassetto. La guardo: non posso farne a meno».
Virginio era molto affezionato alla vostra casa al Cap Nègre, nella Francia del Sud, davanti al Mediterraneo. Un giorno lì arrivò un tale Nicolas Sarkozy, presidente della Repubblica. Come andò?
«A tavola si mise a sedere nel posto che era stato di Virginio e prima di mio marito. Così, senza complessi. Quella sera c’eravamo io e mia sorella Gigi, Carla e Valeria. E quando siamo tutte insieme, è difficile per altri parlare. Praticamente restò zitto».
Com’è suo genero?
«Le parlo da un punto di vista privato: è una persona gentile. Adora la famiglia, la sua ma anche la mia. È un casalingo».
Continua a suonare, signora?
«Ogni giorno, almeno due ore. Da sempre, tutte le mattine interpreto un brano di Bach. Dentro c’è tutto: la poesia, la calma. Dà pace. Finalmente».