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 2016  maggio 10 Martedì calendario

Dai vertici di Banca Etruria raccomandazioni di abbassare il profilo di rischio delle obbligazioni subordinate per venderle a tutti i clienti

Un passo alla volta, la truffa ipotizzata dai magistrati di Arezzo si sta avvicinando alla vetta della vecchia Banca Etruria. Là dove sedevano i dirigenti e i consiglieri di amministrazione. Dagli otto direttori di filiali aretine, indagati per aver venduto a pensionati e piccoli risparmiatori le famose obbligazioni subordinate, si è saliti di un gradino: sotto inchiesta ci sono ora anche due alti funzionari della direzione centrale della banca, perquisiti ieri dai finanzieri del nucleo tributario di Arezzo.
«Hanno favorito il collocamento indiscriminato nei confronti di clientela sprovvista di adeguato profilo Mifid in relazione al prodotto proposto», si legge nel decreto di perquisizione. Fuori dai termini finanziari, significa che i due funzionari avrebbero invitato i direttori di filiale a vendere a tutti i costi le subordinate (le emissioni del 2013 furono divise in due tranche, per un totale di 120 milioni), anche a chi non aveva la capacità di valutarne il rischio. Non solo. Nel decreto si cita anche una circolare, la numero 35 del 31 maggio 2015, ritenuta dai pm «il presupposto iniziale» della presunta truffa ai danni dei 12mila investitori che, da un giorno all’altro, hanno visto evaporare i risparmi. Repubblica è venuta in possesso di quella circolare. È stata emessa dalla direzione centrale commerciale della vecchia Etruria, e riporta le specifiche del collocamento. Alla voce “destinatari dell’offerta” si legge “pubblico indistinto”, e la classe di rischio è la 3, “media”. Per quanto non sia molto diversa da quelle che generalmente vengono scritte in occasioni simili, il pool di quattro magistrati di Arezzo guidati da Roberto Rossi nutre forti dubbi su questo pezzo di carta: sostengono che avrebbe dovuto riportare una classe di rischio “medio-alta” e l’offerta, considerato ciò che stavano scoprendo gli ispettori di Bankitalia, doveva essere rivolta a investitori istituzionali o a soggetti più “solidi”.
Ci sono tre testimoni che hanno raccontato agli investigatori le telefonate e le conversazioni avute con i due alti funzionari, durante le quali gli indagati avrebbero fatto pressioni per piazzare i titoli «anche modificando i profili di rischio». Facendo passare – sono alcuni dei casi raccolti dalle associazioni in difesa dei consumatori – persone di bassa istruzione come professionisti o laureati. E le obbligazioni subordinate per titoli “sicuri” quanto i Bot. Ma perché avrebbero agito così? I testimoni, che sono dipendenti della banca ancora in servizio, parlano di una «direttiva arrivata dai vertici», cioè di un’ordine preciso di qualcuno dei manager, non si capisce se scritto o solo verbale. Per questo i finanzieri sono piombati ieri negli uffici dei due funzionari: stanno cercando il documento che potrebbe far fare all’inchiesta un altro salto in alto. Ma la truffa è uno dei filoni. Per la bancarotta fraudolenta, per cui sono finiti sotto inchiesta gli ultimi due consigli di amministrazione che hanno guidato l’istituto dal 2009 al 2015, il lavoro dei magistrati si è arricchito della relazione sulle cause dell’insolvenza (un centinaio di pagine) scritta dal commissario liquidatore Giuseppe Santoni e depositata in procura pochi giorni fa. «La situazione della banca si aggrava, forse in modo già irreparabile, nel corso del 2012-2013 – si legge nel dossier – gli organi di governo della banca da un lato sembravano avere consapevolezza delle difficoltà finanziarie sempre più insormontabili, dall’altra non adottavano con fermezza e rapidità le misure pur individuate come inevitabili. Venuta meno l’ipotesi di aggregazione con la Popolare di Vicenza, proseguiva la loro sostanziale inerzia e incapacità». Il documento è diviso in cinque capitoli che individuano altrettante cause del fallimento e che potrebbero diventare ipotesi di distrazioni patrimoniali. Il più sostanzioso riguarda la gestione dei grandi creditori morosi ma trattati con riguardo irragionevole. Sono citate espressamente quattro società, che insieme hanno accumulato un debito con l’Etruria di un centinaio di milioni di euro. Una è la Privilege Yard spa, una ventina di milioni di affido mai rientrato perché fallita. Nel cda si sono avvicendati Mauro Masi, ex Dg Rai e con diversi incarichi a Palazzo Chigi sotto i governi Berlusconi e Prodi, e professionisti del calibro di Tommaso Di Tanno, Alessandro Perrone e Serafino Gatti.