ItaliaOggi, 7 maggio 2016
«La regina è per-fet-ta, mi creda: ha castelli, smeraldi, cani, cavalli, limousine. Mi trovi uno che pensi di corrompere la regina d’Inghilterra». Ecco perché secondo Maurizio Milani la politica la devono fare i ricchi
Andare in giro per Codogno (Lodi), in una fresca serata di maggio è un piacere, andarci con Maurizio Milani, scrittore satirico e penna storica del Foglio, è una goduria. Milani, classe 1961, al secolo Carlo Barcellesi, in questo paesone della Bassa Padana è infatti un’autorità morale.
Saluta tutti per primo e da tutti affettuosamente ricambiato, ti porta a fare l’aperitivo al Caffè L’Angolo, davanti casa, presentandoti ai titolari, già avvisati del tuo arrivo, ti fa conoscere Eduart, pizzaiolo albanese che, in 30 anni, ha messo in piedi una mini catena di pizzerie da asporto, Taxi Pizza; ti porta a cena al Canda l’uga, locale rinomato, per uno spettacolare risotto alla salsiccia. «Quando su una donna volevo far colpo la portavo qui, eh», dice mostrandoti gli arredi rustici. Soprattutto, Milani paga sempre lui il conto e non c’è verso di fare alla romana. L’intervista è stata fatta a casa sua, prima del tour nella piazza cittadina, «oh è grandissima, preparati», della visita alla basilica e al broletto. Nella corte dove vive, ormai solitario, dopo che molti inquilini sono via via andati, e di cui ricorda come fosse viva e vissuta una cinquantina d’anni fa: «E lì, Goffredo, c’è il cesso: perché c’avevamo gabinetto comune», dice indicando una porta di lato al cortile.
Domanda. Milani, lei ogni giorno scrive a una donna di cui è appunto Innamorato fisso. Ma è un po’ che non s’invaghisce di una politica, o sbaglio.
Risposta. Ma no, si sbaglia. Recentemente sono impazzito per Pina Picierno, l’eurodeputata del Pd. A proposito come si scrive, con la «i» o senza?
D. Sì ma la Picierno, con la «i», è già la compagna di Francesco Nicodemo, renzianissimo guru dei social di Matteo Renzi.
R. Ah sì? Lei mi dà una grande delusione. L’avevo vista d’improvviso da Lilli Gruber, a Ottoemezzo, l’altra sera, e mi sono retto a quel mobile lì per non cadere.
(Si alza e va ad appoggiarsi su un mobiletto laterale alla tv, mimando la caduta scampata: Papa Bergoglio, in un quadretto da una mensola poco sopra, assiste alla scena).
D. Con chi dibatteva, la Picierno?
R. Con quel Brambilla lì (Matteo, candidato M5s, ndr), un brianzolo andato giù a Napoli per seguire un progetto e che poi ha fatto famiglia, rimanendoci. E quello non s’apparenta con Luigi de Magistris, va da solo.
D. Milani, ogni volta che la intervisto, capisco che lei segue la politica quasi come un addetto ai lavori.
R. Ma no, è che io guardo i talk-show. A volte, mi metto lì (e indica la poltrona di pelle anni ’70 del tinello in cui siamo) arrivando a 12-13 ore di televisione, comincio dalla Omnibus, con la Alessandra Sardoni, poi l’Aria che tira con Myrta Merlino, Tagada con Tiziana Panella, poi La Gabbia con Gianluigi Paragone.
D. Lei mi cita solo La7, sarà mica che vuole farsi dare una trasmissione da Urbano Cairo?
R. Nooo, guardi io guardo anche Ballarò, anche Agorà, specialmente quando c’era Mia Ceran.
D. Ne è sempre innamorato?
R. Certo, l’ha vista la Ceran? Però sulla politica, mi scusi, vorrei rilasciarle una dichiarazione.
D. Sono venuto a casa sua per questo
R. Io mi riconosco del gruppo Ala.
D. Apperò!
R. Sì, ma non solo in Denis Verdini, badi bene. Anche nel senatore Vincenzo D’Anna, ha presente? Il socialista, quello che il giorno della fiducia al Senato in cui i verdiniani furono decisivi, andò a Palazzo Madama col garofano rosso all’occhiello. Sa, io sono del Partito della Prima repubblica, vorrei un po’ tornare agli antichi fasti socialisti.
D. M’era parso anche di scorgere qualche tono benevolo per questo Pd.
R. Ah, certo, per amore. Per amore della Picierno, di Maria Elena Boschi, di Marianna Madia, di Virginia Raggi.
D. No, la Raggi è grillina, suvvia.
R. Lo so, lo so, sono un uomo affettivamente un po’ relativista. E comunque sulla politica le vorrei dire anche un altro concetto, se permette.
D. Avanti.
R. Ecco, io sono perché la politica la facciano i ricchi.
D. Un tempo era così, si votava per censo.
R. Appunto! Se io e lei facciamo politica, appena possiamo, mia figlia diplomata maestra la infiliamo da qualche parte, su. Come fai a dirgli di no? Non che non saremmo onesti, ma insomma, sistema di qui, sistema di là. E non per fare voto di scambio, e tutti questi reati fumosi
D. il traffico di influenze.
R. Bravo. Non è per questo, ci mancherebbe! I voti ce li darebbero dopo, no?
D. I ricchi in politica, l’abbiamo avuti con Silvio Berlusconi.
R. E perché fermarsi? Donald Trump? Perfetto. La regina Elisabetta?
D. Non fanno politica, gli Windsor, sono reali, nessuno li vota.
R. La regina è per-fet-ta, mi creda: ha castelli, smeraldi, cani, cavalli, limousine. Mi trovi uno che pensi di corrompere la regina d’Inghilterra.
D. Allora stiliamo la classifica dei ricchi che vogliamo vedere in politica, Milani.
R. Uno c’è già, Alfio Marchini. Poi c’è Corrado Passera, e sono due.
D. A Milano ha fatto un passo indietro o, meglio, di lato, mettendosi con Stefano Parisi.
R. Vero ma c’è sempre. E poi c’è il suo presidente, quello della Fiorentina, no?
D. Diego Della Valle?
R. Sì, lui. Non doveva fare un partito? Non si è saputo più nulla. Ma poi ci potrebbe stare un Benetton, Leonardo Del Vecchio, il papa della Guidi, come si chiama? Che prima era spesso a Ballarò?
D. Guidalberto. Insomma, togliamo la politica ai politici?
R. Esatto. Anche un bel vescovo, potrebbe andare.
D. Torniamo al Medioevo, ai vescovi-conti, poi Papa Francesco chi lo sente? Già che non mi pare troppo convinto di Medjugorie, di cui lei è devoto.
R. Non ci provasse, eh, che facciamo lo scisma (va e torna dall’altra stanza portando copie di una rivista dedicata al santuario della Erzegovina).
D. Perché i vescovi in politica, Milani?
R. L’abbiamo provate tutte, persino Antonio Di Pietro e l’Italia dei valori. Facciamo anche questa. Commissario, Mario Draghi, da lassù dove sta, e qui a gestire tutto il vescovo di Chieti.
D. Ma monsignor Bruno Forte, fine teologo, è un amico del Papa.
R. Ah sì, ma dicevo Chieti per dire, si può affidare il governo anche al vescovo di Isernia, per carità. Lei sa chi è?
D. No, confesso.
R. Neppure io. E un vescovo capo politico dell’Italia, magari sistemerebbe, per prima cosa, quell’affare delle diocesi che non coincidono con le province. Le pare possibile? Fidenza, che è in provincia di Parma, fa diocesi a sé.
D. Che problema c’è?
R. Ma insomma, con questa crisi, con la gente non sa come comprare il latte, abbiamo delle diocesi che non son neppure provincia.
D. Torniamo al vescovo premier.
R. Sarebbe ovviamente sospeso a divinis, perché non è giusto che i preti facciano politica.
D. E poi, niente elezioni?
R. Ogni 10-15 anni, si voterebbe: per bene, per non offendere la gente e far lavorare un po’ di scrutatori. Ma non se ne tiene conto.
D. Una recita?
R. Certo. D’altra parte neppure Mario Monti l’abbiamo votato, no? Potrebbe essere una soluzione anche europea, sa?
D. I vescovi in politica?
R. Certo. In Grecia, in Portogallo, in Irlanda, queste nazioni di lazzaroni che fanno arrabbiare la Angela Merkel, un bel vescovone cattolico, magari anziano, che non abbia più nemmeno il nipote da mettere in banca. Ché è un attimo, lo sa? «Sono il vescovo, c’è qui mio nipote, che è tanto un bravo ragazzo».
D. Mah, forse meglio un ricco, come diceva prima. Ma non mi ha citato Cairo, allora è vero che vuole una trasmissione da La7.
R. No, scherza? Cairo andrebbe benissimo, soprattutto se comprasse il Corriere. Sarebbe fantastico mischiare un po’ i conflitti di interesse. Io ne vado pazzo.
D. Per i conflitti di interesse?
R. Sì, questo Paese ne ha paura e non capisco perché. Io sono per i conflitti di interesse palesi. Anzi, Cairo lo vorrei premier, editore de La7, del Corriere e anche designatore di arbitrale, a favore del Torino.
D. Perché lei è convinto che gli arbitri influenzino il pallone?
R. Sta scherzando? Ha visto l’Atletico Madrid l’altro giorno contro il Bayern? Gli han dato un rigore che per un fallo un metro fuori dall’area. Il bello è che, mentre discutevano, nei megaschermi dello stadio, è andato in onda il replay ravvicinato, e si vedeva benissimo. No, mi creda, io sono favorevole ai sorteggi taroccati riscaldando le palline da estrarre. Torniamo ai tempi, in cui agli arbitri davano poi le concessionarie della Fiat. Ma, le dicevo di Cairo
D. Proprio la vuole questa trasmissione
R. Ma no, lo voterei perché è anche un bell’uomo, sempre elegante, con queste camicie giuste, non come quelle di Della Valle, dai, con quelle becche del colletto lunghissime, spropositate.D. Di un’eleganza sobria, Cairo.
R. Sì e neppure eccessivamente alto. Perché lo sa, la donna vuole l’uomo piccolotto? Lo sa che Michael Dukakis perse contro Bush-padre per quello? No, mi creda, meglio un Francois Hollande, che è bassino e insignificante, ma che piace alle donne. Anche da noi, i premier devono essere 1,71 al massimo, ometti robusti, gambe corte.
D. Ma è l’identikit del Cavaliere.
R. Esatto. Infatti piaceva alle donne, era galante, faceva il baciamano. Perfetto.
D. Quindi Renzi che sarà più di 1,85, non va bene?
R. Urca, Renzi è così alto?
D. Guardi, io sono 1,80 e lui mi supera e di molto.
R. Beh, c’è da fare un discorso.
D. Facciamolo.
R. Berlusconi è un ’36 mentre Renzi è un ’75, se non sbaglio.
D. E dunque?
R. Le ultime generazioni si sono naturalmente allungate.
D. Senta, chiudiamo su di lei. Qualche libro in uscita?
R. C’è, ma ancora non le dico niente. Prenderà spunto dal mio lavoro giovanile di perito agrario. Lo sa che sono perito agrario?
D. E di cosa si è occupato?
R. Di zootecnia: lavoravo in una grande porcilaia industriale a ingravidare artificialmente le scrofe. Poi feci un provino a Zelig.
D. Dalla porcilaia al cabaret.
R. Sì con qualche anno di mezzo. Zelig ha festeggiato 30 anni adesso dall’esordio. Mi ricordo il casting, come fosse ora.
D. Ce lo descriva?
R. Ero in attesa, fra giocolieri che provavano, mimi con le tutine, comici che provavano lo sketch. Mi presi paura, io sapevo appena scrivere cose che non mi parevano divertenti.
D. E che successe poi?
R. Feci un giro, perché l’appuntamento era alle 11. E poi mi convinsi: avrei potuto fare anche una brutta figura, tanto a Codogno non l’avrebbero saputo mai.
D. E invece Gino e Michele la scelsero.
R. Mi telefonarono a casa, il giorno dopo, perché lì per lì non ti dicono niente, per non mortificare nessuno. Mi dissero di tornare. «Ma non rideva nessuno», gli dissi, perché al provino c’era un po’ di gente. Insistettero. La mia speranza, ora, però, è fare il prete, visto che c’è questa crisi di vocazioni. Però
D. Però?
R. Però, nei seminari dovrebbero essere un po’ di manica larga. Insomma, sul latino, la teologia, il diritto canonico, lasciar correre un po’. Ho fatto l’istituto agrario, mica il classico. E poi anche il prete si imparerà a farlo, lavorando, no?
D. Don Milani, peraltro l’abbiamo avuto già. Forse glielo dissi anche l’altra volta.
R. Certo. Ma io mi farei mandare in Sardegna, tranquillo. Affiancato a un vecchio prete, per imparare. Penso che la Chiesa, facendo una sanatoria, a prendere un po’ di scapoli come me, ci guadagnerebbe.
D. E se non lo facesse?
R. Beh allora non mi resterebbe che farmi raccomandare dal cardinal Fisichella. Era il prete al mio oratorio don Rino, eh.