Il Messaggero, 7 maggio 2016
La Cassazione chiude il caso Emanuela Orlandi
La stanza di Emanuela è rimasta la stessa, in fondo al corridoio. La signora Maria si è sempre rifiutata di svuotare armadi e cassetti in cui sono ancora riposti i jeans e T-Shirt di una teenager degli anni ’80. In quei 20 metri quadri il tempo si è fermato. E lei ha continuato a ripetere a parenti, amici e nipoti la stessa frase, «noi l’aspettiamo». La fiducia incrollabile di una mamma che crede in qualcosa che non è più la giustizia degli uomini. E neanche ora che una sentenza ha messo la parola fine allo strazio giudiziario di questa storia infinita Maria è disposta a gettare la spugna: «Fino a quando Dio mi darà la forza e non mi diranno dove possiamo andare a portarle una fiore mia figlia resterà viva dentro di me. Io non ho smesso di credere, prego sempre e vado a Messa. Ci sono giorni in cui in chiesa me la sento accanto, la sento cantare. Non ho smesso di sperare che sia viva in qualche parte del mondo».
La VI sezione penale della Corte di Cassazione ha giudicato inammissibile il ricorso contro l’archiviazione chiesta dal capo della procura romana Giuseppe Pìgnatone. Un mistero bollato e protocollato. Emanuela anagraficamente è ancora una cittadina dello Stato vaticano. Scomparsa.
COLD CASE
Un cold case pieno di opacità e comportamenti omertosi. L’avvocato Pietro Sarrocco che ha redatto il ricorso si dice pronto a rivolgersi alla Corte di Strasburgo. È convinto che la matrice sia quella del terrorismo internazionale, legata all’attentato al Papa. La pista che porta ad Alì Agca, entrato e uscito da questa inchiesta in un vortice di illazioni, soffiate, depistaggi, pentiti, mitomani.
Il prossimo 22 giugno saranno passati 33 anni dal giorno in cui la figlia 15enne di un commesso della Prefettura pontificia svanì nel nulla. Studiava il flauto. Era uscita con 10 minuti d’anticipo dalla scuola di musica di piazza Sant’Apollinare. Chiamò la sorella Natalina al telefono. Le disse che le era stato proposto un lavoretto per un’azienda di cosmetici. Fu l’ultimo contatto. Un vigile testimoniò di averla vista parlare con un uomo alla guida di una Bmw nera. Da allora solo verità sommerse che affiorano, riemergono e si inabissano di nuovo.
I FANTASMI
Il 19 ottobre scorso il gip aveva già respinto l’opposizione avanzata anche dai familiari di Mirella Gregori, la ragazza scomparsa poche settimane prima di Emanuela. Le indagini si erano concentrate su monsignor Pietro Vergari, l’ex rettore della Basilica di Sant’Apollinare dove era sepolto Enrico De Pedis, detto Renatino, boss della Banda della Magliana. A furia di ravanare erano riapparsi vecchi fantasmi della Roma di quell’epoca, Angelo Cassani, detto”Ciletto”, Gianfranco Cerboni, detto “Giggetto”. I fari si sono posati su Marco Accetti, l’ex fotografo già sottoposto a perizia psichiatrica su cui pende un’accusa di calunnia. «Gli elementi indiziari emersi – si legge nella richiesta di archiviazione che il procuratore Capaldo si rifiutò di firmare – hanno trovato alcuni riscontri in ordine al coinvolgimento della Banda della Magliana ma non hanno permesso di pervenire ad un risultato certo in merito al coinvolgimento di Enrico De Pedis». Chi non si è mai arreso è Pietro Orlandi, fratello di Emanuela. E neanche ora demorde: «L’unico modo per sapere qualcosa è che qualcuno parli, perché sia dentro sia fuori il Vaticano ci sono ancora persone che sanno. Ma noi andremo avanti, nessun potere forte ci fermerà».