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 2016  maggio 07 Sabato calendario

«Vietato dire Mondazzoli». Intervista a Gian Arturo Ferrari

La porta si apre con un’avvertenza, cortese ma ferma. “Vietato dire Mondazzoli”. Gian Arturo Ferrari, il padrone di casa, spiega che è questione di forma e sostanza: “È una parola orrenda, che ha una sfumatura dispregiativa. Oltretutto non ha riflessi nella realtà: esistono una Mondadori libri e una Rizzoli libri, di cui ho l’onore di essere il presidente”. Il cane India scodinzola, si comincia.
È trapelato un po’ di rammarico per i rimedi dell’Antitrust, soprattutto per l’imposizione della vendita di Marsilio e Bompiani.
La decisione dell’Authority, con forte valenza politica, era prevedibile. Il loro ragionamento, durante l’istruttoria, è stato fatto su valori relativi, cioè su quote di mercato. Prescindendo dal fatto che la vitalità di un gruppo editoriale non dipende da valori relativi, ma da valori assoluti. In Italia il discrimine è la dimensione, estremamente ridotta, del mercato: un miliardo di euro, un terzo di quello francese, un sesto di quello tedesco. La logica con cui abbiamo pensato questa operazione è riuscire a raggiungere una massa critica che ci consenta di fare gli investimenti necessari. La decisione dell’Antitrust è ancorata a una correttezza formale che non tiene assolutamente conto della situazione reale del settore. Hanno spezzettato i segmenti in maniera infinitesimale: ma le puntine da disegno, gli illustrati per dire, non sono un mercato, non so se mi spiego. La ratio dell’analisi è ispirata ai modelli dell’Antitrust europeo, che però si occupa di mercati molto più grandi di quello italiano.
Mercati dove le concentrazioni si fermano a quote inferiori alla vostra: in Spagna Planeta ha il 24%, in Inghilterra Penguin-Random House il 26%, in Francia Hachette il 21. Voi siete sopra.
Di poco: 31%, senza Marsilio e Bompiani.
Le dispiace per Adelphi? Ha un bel catalogo e avrebbe dato prestigio al gruppo.
Adelphi è una casa editrice con una personalità molto connotata, è l’opera del suo fondatore Luciano Foa, proseguita poi da Roberto Calasso. Quanto al prestigio, Mondadori non ha bisogno di Adelphi per acquisirne. Non ci abbiamo mai pensato, è stato subito chiaro che i soci di minoranza avrebbero esercitato la prelazione.
Il mondo dell’editoria va nella direzione delle aggregazioni: Stampa-Repubblica, Gruppo Cairo-Corriere
Ci sono grosse differenze. E grosse simiglianze. Le ultime sono dettate dal fatto che i mercati dell’editoria tradizionale oggi sono statici o in recessione. In tutto il Dopoguerra, il mercato dei libri è cresciuto – poco: un punto, due punti percentuali all’anno – ma è sempre cresciuto. Era un mercato in espansione. Questo è cessato: abbiamo visto un periodo di recessione, poi l’anno scorso una piccola crescita. Uno zero virgola, come direbbe Renzi. È un mercato stabile, ma non più espansivo. Questo fenomeno accomuna anche quotidiani e periodici. La differenza è che i libri si sono rivelati molto più resistenti. Le concentrazioni sono determinate dal fatto che di fronte alla recessione bisogna razionalizzare il più possibile sui costi. Per i libri le aggregazioni servono a investire: il problema nostro è il nanismo, le imprese editoriali sono minuscole.
Mica si può pensare al monopolio come antidoto.
Le grandi dimensioni fanno paura: tutti dicono “l’orribile mostro che sbrana, trangugia e divora”. Il guaio è che in verità gli editori in Italia sono dei nani, seppur dotati di robusti appetiti.
Obiezione: il mercato italiano è piccolo perché necessariamente domestico a causa della lingua.
Non credo. Le ragioni sono altre: in Italia si legge poco. Noi non abbiamo avuto le guerre di religione, che hanno caratterizzato il 1600, un secolo durante il quale le persone si sono uccise, sbudellate, torturate per quello che stava scritto sui libri. In Italia no, come in Spagna. Questa cosa ha avuto una conseguenza. E dire che nel 1400 l’Italia era il Paese d’Europa in cui si leggeva di più: c’erano addirittura le biblioteche pubbliche, prima dell’invenzione della stampa a caratteri mobili. Poi, con la Controriforma, c’è stato un blocco: all’indice, in Italia, è stata messa la Bibbia in volgare. Non era vietato leggerla, se la leggevi e ti beccavano finivi molto male. L’altra ragione è geografica: dal punto di vista della lettura di libri, l’Italia è fatta di un pezzo di Europa centrale incollata a un pezzo di Europa mediterranea.
Lucia Annunziata ha detto: la fine del berlusconismo politico ha scongelato il mondo dell’editoria. Vero?
Non saprei: mi sono sempre occupato di libri e mai di altre forme di editoria. Nel mondo dei libri il berlusconismo non è stato una variabile significativa E non ha avuto nessuna influenza reale, diretta, sul mondo e sul mercato dei libri.
Provi a convincere – ma sono vietati gli slogan sull’indipendenza – quelli che criticano il nuovo gigante editoriale, in grado per esempio di contendere gli autori con anticipi più sostanziosi, marketing aggressivi e “ricatti” ai librai.
Ci sono troppi fraintendimenti. Non c’è nessuna ragione coercitiva perché gli autori accorrano a frotte in Mondadori. Sul potere d’acquisto degli autori noi stiamo facendo una politica di contenimento dei costi. Cerchiamo di diminuire costi e sprechi e quindi anche i write off, cioè il passaggio a perdita degli anticipi degli autori. Siamo molto più equilibrati e saggi rispetto ad anni passati. Quanto ai librai, cioè agli sconti, non abbiamo alcun interesse a cambiare qualcosa.
Fanta-editoria: se fosse stata Rcs a comprarsi Mondadori ci sarebbe stata la stessa levata di scudi?
Ovviamente no. Se poi fosse stata, per esempio, Gems ci sarebbero stati inni di gioia. A questo livello di discussione il mondo è diviso in buoni e cattivi: noi facciamo la parte dei cattivi, ma siamo contenti così. Negli anni 90, politicamente molto più complicati, ce la siamo cavata benissimo.
È vero che v’importava soprattutto dei marchi di scolastica di Rcs?
C’importa egualmente del trade e della scolastica, che comunque non è il Bengodi. E non è un mercato semplice. Non è un mercato diretto, perché oltre al produttore e al venditore c’è un terzo che media ed è in sostanza lo Stato. È un business più regolare e generalmente più profittevole, anche se il rischio imprenditoriale è lo stesso.
Nel 2011 il Pdl parlò di una commissione d’inchiesta sui manuali di Storia “troppo di sinistra”.
Io di scolastica non mi sono mai occupato. Però l’idea che si possa pensare che abbiamo comprato i marchi di scolastica per riscrivere i manuali di Storia è veramente una barzelletta.
Si dice che lei sia rientrato in Mondadori per guidare l’acquisizione di Rcs. Vero?
No. Quando Ernesto Mauri mi ha chiesto, letteralmente, di “tornare a dargli una mano” sui libri Mondadori, io non sapevo nulla dell’operazione. Ero contento perché ho passato praticamente tutta la vita a fare questo mestiere a Segrate. Ho avuto la fortuna di vedere tre diverse fasi dell’editoria libraria. Quella in cui ho mosso i primi passi da Boringhieri: un’editoria classica, contegnosa, che aveva grande rispetto dei valori intellettual-accademici. Le case editrici erano guidate da consulenti, il modello era l’Einaudi di Giulio. La seconda fase è stata quella in cui ho trascorso la maggior parte della mia vita professionale. Questo modello ha avuto un precursore, Mario Spagnol, che fece di Rizzoli una casa editrice aggressiva, puntata sui best-seller: uno, due titoli forti che tenevano su il resto della baracca. Poi Vittorio Di Giuro da Bompiani aprì decisamente all’intrattenimento. Tiziano Barbieri, il fondatore della nuova Sperling&Kupfer, capì che oltre a poderosi volumi sulla Rivoluzione d’ottobre c’era ampio spazio per titoli che spiegavano come una bella ragazza si poteva far strada a New York. Portò a compimento questo lavoro Leonardo Mondadori, una delle figure più sottovalutate dell’editoria: fu un grande innovatore. La base di tutto fu il marketing – sconti, campagne, comunicazione – e il paperback che bisognava stravendere. Si lavorava sull’alto e sul basso: Leonardo prese Garcia Marquez e fece gli Harmony, io presi Calvino e feci i Miti e Ramses. Nei primi dieci anni del Duemila imbroccammo una serie impressionante di successi. Questo modello – poi copiato da tutti – stava in piedi con un mercato in espansione. Quando c’è stata la recessione, tutta la zavorra di quel modello ci è caduta addosso.
E adesso?
Adesso stiamo cominciando a costruire un nuovo modello molto più ispirato a un adeguamento dei costi di ogni titolo rispetto a quanto può effettivamente vendere. I libri di media dimensione sono diventati il centro. Prima il modello era quello della ricerca dell’oro: un setaccio nel fiume, tiravano su tutta la sabbia e in mezzo trovavano, se erano fortunati, una pepita. Ora ogni granello di sabbia deve diventare redditizio. Questa ricetta richiede un immenso sviluppo delle tecnologie, che non riguardano, come tutti tendono a credere, solo i formati, cartaceo o digitale. Bisogna capire come utilizzare i mezzi digitali per un nuovo marketing. L’industria dei libri ha un livello di dispersione altissimo: dobbiamo far arrivare i libri a chi è interessato a comprarli.
Qualcuno ha osservato che i naufraghi della Nave di Teseo, capitanati da Elisabetta Sgarbi e da Umberto Eco, sono stati intempestivi: se avessero aspettato avrebbero, potuto comprare Bompiani.
Così una casa editrice è stata smembrata inutilmente. Non esprimo un giudizio di valore, sono proprio i fatti.
L’unità del catalogo non è un miraggio: Mondadori è obbligata a disfarsi di Bompiani e potrebbe darla a loro.
Davvero? Non ci abbiamo mai pensato.
Sono in molti a volere Bompiani.
Non molti: tutti.
Avete già deciso?
No. Ma abbiamo le nostre opinioni al riguardo: fino a prova contraria abbiamo diritto ad averne. Peraltro sono facili da capire: si formano specularmente, sulla base di quelle che gli altri hanno di noi. Pare che viviamo ancora in un’economia di mercato.
All’inizio di tutto si diceva: è chiaro che vogliono comprare Rcs e poi vendere a un grosso editore straniero.
Io non sono la proprietà, che naturalmente è libera di fare ciò che crede. Ma ho una sensazione, sulla base di ciò che vedo e che mi viene detto, ed escluderei questa possibilità. La presidente s’interessa tanto dell’azienda, direttamente, le piace molto ma non interferisce nelle scelte editoriali: siamo sempre stati liberissimi…
…lo ripetete in continuazione, ma ci credono in pochi. Come dire: la verità si cela nella determinazione con la quale la si vuole negare.
L’Einaudi è un esempio lampante. La gente non ci crede perché nessuno, a parte gli addetti ai lavori, sa come funziona una casa editrice. Che è davvero difficile da controllare: il gruppo pubblicherà duemila novità all’anno. Ho avuto molti padroni: libera di non credermi, ma la attuale proprietà è la meno ingerente.
La più invadente?
Gli Agnelli quando avevano la Rizzoli, dove ho passato due anni meravigliosi, in cui credo di aver comprato i libri migliori della mia carriera. Volevano sapere, essere informati in maniera puntuale. Non volevano che fosse toccato un mondo che ruotava attorno alla famiglia, intendo interessi industriali, rapporti personali. Una vera dinastia.
E De Benedetti, quando era in Mondadori?
Mai occupato di libri. Se gli chiedevamo un aiuto, interveniva. L’ha fatto con Marquez che temevamo che potesse seguire Leonardo Mondadori quando fondò la sua casa editrice. Con Berlusconi praticamente la stessa cosa. Ogni tanto mi chiamava: “Ho di fronte a me il signor tal dei tali che ha scritto un libro. Mi raccomando”. E io sapevo che quando mi diceva “ho di fronte a me il signor” era un modo per rassicurare il signore lì di fronte, ma poi non succedeva niente.
Non ha risposto: non vi credono.
Cosa devo dire? C’è stata una ventennale campagna contro la casa editrice.
Come la mettiamo con il premio Strega? Qualche copia ancora vale e negli ultimi anni l’alternanza Mondadori-Rizzoli tra i vincitori è una costante. Se continua così diventa un premio della casa.
In primo luogo non esiste la “casa”: ci sono molte e diverse nostre case editrici che anche qui competono. In secondo luogo, ancor più importante, la leggenda dei pacchetti controllati dalle case editrici onnipotenti è sempre più una leggenda, anche in virtù del nuovo sistema di voto da un lato, e dell’allargamento della base dei votanti dall’altro. Insomma, una leggenda sempre più leggendaria.
Torniamo a oggi: su Stampa-Repubblica non si è mossa foglia.
Senta, noi sappiamo benissimo che in questa commediola facciamo la parte dei cattivoni. Ricordo un articolo di Goffredo Fofi sull’Unità nei primi anni 90 intitolato: “Boicottiamo i grandi editori”, che poi eravamo noi. All’epoca non perdemmo molti autori. Sandro Veronesi, che ora se ne è riandato da Bompiani, in modo coerente. E Veltroni che aveva un contratto per un libro, mi scrisse quando Berlusconi diventò presidente del Consiglio per dire che non l’avrebbe fatto. Ripeto: non ci affliggiamo. Se va come in passato tutta la campagna che c’è stata in occasione della recente acquisizione è un buonissimo presagio per il futuro.
Visto che siamo riusciti a non dire mai “Mondazzoli”?