Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  maggio 07 Sabato calendario

Carolina Kostner pensa a Rio ma intanto ha scoperto di amare il traffico, il tempo perso, le puntarelle e i carciofi

Nella pace di Casal del Marmo Carolina Kostner guarda la sua Roma alternativa: «Ho scoperto di amare il traffico, il tempo perso, le puntarelle e i carciofi». Ride sotto il gazebo delle Fiamme Azzurre. La ragazza altoatesina, talento precoce, cresciuta a orari fissi e allenamenti tedeschi nel rigore di Oberstdorf, si stira compiaciuta: «Questa città è un nuovo capitolo, tutto diverso». 
Sicura di voler contaminare la serenità con il rientro alle gare?
«Sì, non sarà certo come prima. Ho realizzato tutti i sogni che avevo nel cassetto, anzi nemmeno sarei riuscita a mettere in quel cassetto tutto quello che ho vissuto».
Quindi perché tornare?
«Perché adoro pattinare e conta sempre meno il giudizio alla fine del programma e sempre di più il tragitto per arrivare fino a lì. Dopo i Giochi nel 2014 il mio fisico mi ha chiesto una pausa, ci sarebbe stata anche senza squalifica. A pensare alla fatica mi veniva la nausea. Ora è rinato il piacere di lavorare».
Ferma per più di un anno per aver aiutato l’ex fidanzato. Come si supera lo choc?
«È stato un percorso difficile. Stavo sulle montagne russe».
Punto più basso?
«Più di uno, non capivo cosa stesse succedendo: ero in balia degli eventi».
A che si è attaccata?
«Alla famiglia, loro sono fantastici. Non c’era bisogno di parole, apprezzavo l’abbraccio dopo un pomeriggio passato con gli avvocati. E poi al mio staff, al gruppo sportivo. Mi sono stati vicino nelle fasi in cui non riuscivo a darmi una risposta e strada facendo mi sono resa conto di essere più forte di quel che credevo».
E quando ha rivisto la luce?
«Ho dovuto cambiare direzione, ma ho tenuto sempre la stessa strada. E poi nella mia disciplina non esisti solo se gareggi. Nelle esibizioni ho incontrato moltissimi colleghi che si allenano tanto quanto chi sta in competizione. Il percorso di ricerca è identico. Si prova a creare un momento di magia, come un cantante che scrive una canzone. Ho trovato l’artista che c’è in me».
E prima dove stava?
«Prima c’era l’atleta, vivevo di allenamento. Gli spettacoli “Ice Legends” hanno completato il quadro: riuniscono un gruppo di atleti che hanno puntato molto sul lato artistico e pure vinto parecchio. Ci hanno chiesto di portare il programma che ha cambiato la nostra storia. Il mio Bolero, la Carmen dei canadesi Tessa Virtue e Scott Moir, la Madame Butterfly di Mao Asada, un capolavoro dopo l’altro. Lì ho deciso di portare quello spirito anche dove si pattina per il podio». 
E si può?
«Bisogna sognare nella vita. Un po’ di idealismo serve e poi i sogni sono a lungo termine».
Davvero? Si è scelta uno sport di quindicenni.
«Ecco vorrei anche dimostrare che il pattinaggio non vale solo dai 15 ai 25 anni».
Come fa ad allenarsi in questa nuova vita itinerante?
«Lo faccio ovunque: a Roma, a Toronto, a Oberstdorf. Ho qualcuno che mi segue in ogni posto. Sono fortunata, ho uno staff ristretto che ha la mia piena fiducia».
È finita nei guai per troppa fiducia, ancora riesce a concederne?
«Non bisogna scoraggiarsi dopo un tentativo andato male. Io credo nel prossimo e non voglio diventare un’altra. Certo, ora l’approccio è più maturo. Ci è voluto coraggio e pazienza e anche la capacità di accettare i sentimenti dolorosi. Se li chiudi dentro senza sfogarli non li smaltisci».
Sono rimaste le cicatrici?
«Quelle rimarranno per sempre, ma fanno parte della persona che sono oggi, come il segno sulla mia pancia lasciato dalla bici. A ogni graffio impari qualcosa».
Se potesse rivivere un giorno della sua vita cambierebbe quello in cui ha aperto la porta agli ispettori antidoping o quello in cui è caduta a ripetizione ai Giochi del 2010?
«Proverò a cambiare il domani. Ho già messo via il passato, farà sempre parte della mia storia però non può essere così vivo da volerlo ancora modificare».
Cercherà mai un chiarimento con Schwazer?
«Non faccio previsioni anche se è un capitolo chiuso. Guardo avanti».
Domani lui torna in gara nella 50 km, proprio a Roma, lo guarderà?
«Non andrò certo sul percorso».
E dalla tv?
«La mia strada è un’altra».
Nuovi amori?
«No, quando ci sono grossi cambiamenti è importante ritrovare prima l’intesa con sé stessi».
Non vorrebbe avere un compagno in questa fase matura e consapevole?
«Ho sempre avuto qualcuno, non è male avere del tempo da single».
Si è concessa qualche follia mentre era lontana dallo sport?
«Un viaggio di 6 settimane con un’amica canadese. Noi due in tenda dalla California a Edmonton. Senza programmare, abbiamo conosciuto tanta bella gente».
Letture tonificanti?
«Troppi atti processuali».
Ha avuto modo di stare un po’ in Italia. Che Paese ha ritrovato?
«Pieno di gente che mi ha scaldato il cuore. Abbiamo una forza creativa impressionante. Ci frega a volte essere troppo fantasiosi. Ma Roma mi ha costretta a uscire dalla zona di sicurezza, mi sono sentita una principiante ed è stato bellissimo».
È stata portabandiera nel 2006, a Rio il ruolo tocca a Federica Pellegrini. Si sente rappresentata da lei?
«Sì, penso che se lo meriti e poi la scelta dimostra che noi femminucce siamo un punto di forza nello sport italiano».
Federica non era stata tenera nel giudizio sulla sua squalifica.
«Le critiche si accettano quando sono costruttive, tutto il resto è relativo».
Vuole darle un consiglio su come si porta la bandiera?
«Penso che sappia tutto quello che deve fare».
Pensa a un’altra Olimpiade? Avrebbe 31 anni...
«I Giochi sono una storia davvero preziosa per chi fa il mio mestiere. Tengo la porta aperta, il pensiero di poter arrivare fino a lì mi entusiasma. Non so se basta il pensiero».