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 2016  maggio 07 Sabato calendario

Due giornalisti condannati, un premier praticamente rimosso dal suo incarico, un leader che detta le condizioni all’Europa. Signore e signori, ecco la Turchia di Erdogan, lì dove regna la repressione

Giornalisti condannati, un premier praticamente rimosso dal suo incarico, un leader che detta le condizioni all’Europa. E, come se non bastasse, la minoranza curda sempre più sotto attacco. La Turchia ha uomo solo al comando, ma censure e tensioni stanno mettendo a serio rischio la pace interna e la stabilità economica.
Media sotto tiro
La giornata di ieri è stata da dimenticare per la libertà di stampa. Il direttore del quotidiano Cumhuriyet, Can Dundar e il capo della redazione di Ankara, Erdem Gul, sono stati riconosciuti colpevoli. Non per spionaggio, come chiesto dal presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, ma per violazione del segreto di Stato. I due giornalisti hanno scampato l’ergastolo, ma andranno in galera per 5 anni e 10 mesi il primo e 5 anni il secondo. Potranno ricorrere in appello, ma molti commentatori hanno definito la loro condanna un duro colpo alla libertà di stampa. La loro colpa era aver pubblicato sul quotidiano foto e video che ritraevano camion dell’intelligence turca carichi di armi passati allo Stato Islamico. Nel pomeriggio, mentre i giudici erano riuniti in camera di consiglio, Dundar ha anche rischiato di essere ucciso da un uomo che gli ha sparato all’esterno del tribunale, urlandogli «traditore della Patria». «Oggi ho subito due attentati – ha dichiarato il direttore dopo il verdetto – uno per strada e uno in aula».
Le condizioni di Erdogan
Recep Tayyip Erdogan, sembra sempre più determinato a proseguire per la sua strada in piena autonomia. Il capo di Stato si è mostrato alle telecamere sicuro di se stesso, incurante delle condizioni pattuite dall’ex premier Ahmet Davutoglu con l’Unione europea per la liberalizzazione dei visti. A meno di 48 ore dal siluramento del primo ministro, ha già messo in chiaro che la Mezzaluna non cambierà la legge antiterrorismo. «Proprio quando noi siamo sotto minaccia terroristica da parte di organizzazioni che loro supportano direttamente o indirettamente – ha dichiarato Erdogan – ci chiedono di cambiare la legge sul terrorismo. Noi andiamo per la nostra strada, loro vadano per la loro». Dichiarazioni che non fanno ben sperare né sull’attuazione dell’accordo sui rifugiati, né sulle future relazioni con l’Europa.
Politica in crisi
Nel Paese, tutti gli occhi sono puntati sul 22 maggio, quando si terrà il congresso straordinario dell’Akp, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, che detiene la maggioranza in parlamento e che dovrà decidere chi sarà il successore dell’ormai ex premier Davutoglu. La sua rimozione è suonata come un avvertimento a tutti quelli che intendono contrastare il potere di Erdogan. I nomi che circolano sono cinque. Fra questi c’è anche il genero del presidente della Repubblica, l’attuale ministro dell’Energia, Berat Albayrak. Altri due nomi in pole position sono il ministro della Giustizia, Bekir Bozdag e quello dei Trasporti, Binali Yildirim.
Curdi nel mirino
Ad aumentare la tensione c’è l’escalation terroristica del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, che da mesi ha ingaggiato una vera e propria guerra con lo Stato turco. Una situazione che ha messo in difficoltà soprattutto i deputati dell’Hdp, il Partito curdo del popolo democratico, accusati di fiancheggiare l’organizzazione. Adesso rischiano che venga tolta loro l’immunità parlamentare. La votazione è prevista a metà maggio. L’approvazione potrebbe provocare una nuova ondata di violenze nel Sud-Est, dove a pagare sono soprattutto i civili, con decine di morti e migliaia di sfollati.