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 2016  maggio 07 Sabato calendario

In Italia non ci sono più giovani talenti del calcio

«Ho chiesto ai miei scout di selezionare i ragazzi italiani più forti e sono andati in depressione: guardiamo i settori giovanili per trovare nostri talenti ma non li troviamo». Le parole di Walter Sabatini, direttore sportivo della Roma, sono sassi scagliati contro il calcio italiano, proprio nei giorni in cui si discute della riforma del campionato Primavera e della possibilità di iscrivere le squadre B nelle categorie minori. Insinuano il sospetto che, al di là delle singole politiche societarie, la scuola italiana abbia perso la materia prima. Quei giovani di cui si parla sempre e che non giocano mai.
Nel sistema domestico, il passaggio a quella adulta avviene a 21 anni. Oggi, i calciatori del ’96 sono ancora in età da Primavera, un torneo che mescola squadre di A e B (42, in 4 gironi) ed è poco competitivo. I nati nel ’95 dovrebbero essere in prima squadra, in teoria. Ma quanti under 21 giocano in A? E quanti in Europa?
La risposta è sconfortante. In A hanno messo piede quest’anno 32 under, di cui 14 italiani, il 44%.
Impietoso il paragone con le altre grandi leghe d’Europa. In Ligue 1, gli under 21 sono 67, in Bundesliga 61, nella Liga spagnola 36 e in Premier 33.
Ma in Spagna e in Inghilterra il meccanismo delle squadre B, ammesse fuori classifica nelle serie minori, offre uno step formativo ulteriore, per non lasciare marcire i giovani dopo lo svezzamento. Fra questi, gli eleggibili in nazionale in Francia sono 44 (65,6%, molti naturalizzati o nati nelle colonie), in Germania 43 (70,5%), in Spagna 19 (53%) e in Inghilterra 16 (48%). L’Italia è ultima per under 21 totali e, in percentuale, per giovani azzurrabili.
Il dato può essere scremato considerando
i calciatori impiegati per almeno un terzo del minutaggio complessivo: gente affidabile, non semplici comparse. La Germania comanda con 23 giovani nel giro dei titolari, di cui 16 tedeschi. La Ligue 1 ne ha 17, di cui 15 francesi, quasi il 90 per cento. L’Inghilterra 6, di cui 3 eleggibili. E l’Italia? Solo 8 giovani impiegati stabilmente, e 3 sono italiani. Una goccia nel mare di 542 uomini diversi utilizzati dai 20 club. Di questi tre, due sono del Milan: Donnarumma e Romagnoli (il terzo è Gollini del Verona). Solo i rossoneri puntano stabilmente sui calciatori locali: con 5 under in prima squadra, sono anche il club che ne ha schierati di più. Pur senza arrivare a un terzo dei minuti, hanno giocato con continuità pure Pellegrini del Sassuolo, Grassi finché è rimasto all’Atalanta (poi l’infortunio nel Napoli), Pezzella nel Palermo. Stop.
All’estero non funziona così, anzi spesso sono proprio le grandi a valorizzare i giovani: il calciatore sotto i 21 anni più presente nel vecchio continente è il terzino spagnolo dell’Arsenal Bellerin, oltre 3mila minuti in una squadra che fino a un mese fa coltivava l’ambizione di vincere la Premier. E in cima a questa lista compaiono pure ragazzi come le star di Tottenham e United, Alli (pagato circa 6,5 milioni) e Martial (valutato 50 più 30 di bonus). Mentre Bayer Leverkusen e Borussia Mönchengladbach hanno affidato le proprie ambizioni di Champions a due difensori baby come il tedesco Tah e il danese Christensen, 40 anni in due. In Francia è stata soprattutto la stagione di Dembelé, diciottenne del Rennes capace di 12 gol in 24 match e prossimo al trasferimento al Barça per una quarantina di milioni, ma sono scesi in campo con continuità pure Koziello nel Nizza e Jean, nel Troyes retrocesso. Altri hanno lasciato il segno in Europa: Peñaranda nel Granada e Lemar nel Monaco, 5 reti a testa giocando pochino, o il centrocampista Dahoud nel ‘Gladbach, mentre Iheanacho strabiliava il City con 7 centri in appena 610 minuti.
In Italia ci si ricorderà principalmente invece dei “bolognesi” Donsah e Diawara. Statisticamente, in serie A ogni ragazzo italiano nato dal 1 gennaio 1995 in poi, gioca in media una partita e mezzo meno di un pari età venuto dall’estero: senza una riforma, viene il dubbio che abbia davvero ragione Sabatini.