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 2016  maggio 07 Sabato calendario

Nel laboratorio dei fratelli Rocchetti, dove si fabbricano barbe e capelli per film da Oscar

L’arte della sottrazione è il mestiere dei fratelli Manlio e Luigi della Rocchetti&Rocchetti di Roma. Impossibile intuire la differenza fra vero e verosimile nella chioma platino di Anita Ekberg nei fotogrammi de La Dolce Vita e fra le onde rosse che incorniciano il volto diafano di Nicole Kidman in Moulin Rouge. O nei caschetti, nei cespugli ricci, nelle costruzioni ardite o nei capelli corti da uomo realizzati in un’infinita serie di film (Guerra e Pace, Barbarella, Amarcord, Arancia Meccanica, L’ultima tentazione di Cristo…): «Una buona parrucca, come il trucco, se è ben fatta non si deve vedere», spiega Manlio Rocchetti. Un ideale professionale, togliere più che aggiungere, diventato anche regola di vita: «L’Oscar per A spasso con Daisy? Tutta questione di tempistica. Meritava di più C’era una volta in America o Il nome della Rosa. Solo per l’invecchiamento di Robert De Niro ci sono voluti tre mesi».Nel laboratorio anche la madre dei due fratelli, Fernanda – novant’anni e oltre portati con nonchalance – annoda sul tulle un capello alla volta con l’uncinetto, badando che il verso sia quello giusto a seconda del punto della testa dove è sistemato. Accanto, scatole e scatoloni verdi custodisconoscalpi per cinema, tv e teatro del passato e del futuro. Sono classificati per genere: barba, baffi, toupé, mossi, lisci. O per nome: Patti Pravo, Marilyn Monroe, Elvis Presley, Gianni Morandi. Sono stati già utilizzati in chissà quali show e sono pronti per essere noleggiati dal piccolo o dal grande schermo, o, come è accaduto di recente, da trasmissioni di imitatori. «La nostra è una grande tradizione famigliare». L’azienda viene fondata nel 1874 dal bisnonno Giuseppe, «a lui subentra mio nonno Manlio. Impiegato al Regio Teatro dell’Opera di Roma – dice Luigi Rocchetti – mio padre Silvano, bambino, era così appassionato di bel canto da calarsi nell’antro del lampadario per godersi la prima». Dopo la guerra riprende l’attività il padre e nel 2008 i figli Manlio e Luigi: «Prima le parrucche erano pesanti come materassi, ora sono leggerissime. Devono vivere, muoversi e cadere con naturalezza. L’unica che le chiede ancora belle consistenti è Sophia Loren, per lei ci vogliono minimo due etti e mezzo. Quelle per gli uomini sono le più complesse, non devono sembrare troppo perfette e la riga è fondamentale che sia nel posto giusto ». In un’altra stanza: varie parrucche di Cleopatra, l’impalcatura di ricci, piume e uccellini della Marie Antoinette di Sofia Coppola e una massa grigia e verde, lunga più di un metro, servita per Lo cuntu de li cunti di Garrone. Senza contare i calchi di teste celebri. «Questa è di Duval – aggiunge Manlio Rocchetti accarezzandola con le mani – si riconosce perché ha uno schiacciamento sulla nuca. De Niro è più regolare...».Le parrucche erano un lusso: «Cinquant’anni fa i capelli costavano 700/800 mila lire al chilo. Un’enormità. In quegli anni nei paesi, le donne, quando perdevano qualche capello, li raccoglievano e li tenevano da parte. Ogni mese passava il censaio che li ritirava in cambio di oggetti e piccoli elettrodomestici. L’India ha fatto crollare i prezzi, ora arrivano dall’estero sistemati, lavati e pettinati».Com’è stato il rapporto con gli attori? «L’unico con cui ho interrotto ogni relazione è stato Klaus Kinsky, non c’era dialogo. Era cattivo e presuntuoso. In tanti anni, non ho mai visto Sophia Loren lamentarsi. Anche se la prova era fissata all’alba, si faceva trovare sempre già truccata. Ma chi mi ha impressionato di più è stato Daniel Lay-Lewis in Gangs of New York. Parlava solo in inglese antico ma nel momento in cui sono finite le riprese, di punto in bianco ha cominciato a esprimersi in uno slang strettissimo. In un combattimento fra bande rivali ha preso una capocciata così forte che si è rotto il naso. Il sangue scorreva ma non ha voluto interrompere. Solo dopo è andato in ospedale. Harvey Keitel, nell’Ultima tentazione di Cristo, girava anche di notte con il bastone. Era un Giuda perfetto. A Claudia Cardinale, invece, non si potevano tagliare per contratto i capelli, non le dico che fatica farli sparire sotto la retina».