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 2016  maggio 07 Sabato calendario

«È la presidenza degli Stati Uniti, non un reality show». Obama se la prende con Trump

«Le elezioni per la Casa Bianca non sono come lo show di un circo», ha ammonito ieri Barack Obama, lanciando un primo, durissimo attacco contro Donald Trump dopo la sua incoronazione a candidato repubblicano.«È la presidenza degli Stati Uniti, non un reality show», ha continuato Obama. Come a dire: l’America non può seguire questa fase politica come uno spettacolo simile a quello che Trump propinava ai telespettatori della Nbc. I media, ha notato invece il presidente durante una conferenza stampa sull’inasprimento dei controlli fiscali, «devono affrontare seriamente la candidatura di Trump», analizzandone le posizioni e senza dimenticare ogni sua dichiarazione.Le parole di Obama hanno confermato che non ha alcuna intenzione di chiamarsi fuori dal duello elettorale: innanzitutto perché è in gioco la sua eredità politica, visto che una vittoria della destra a novembre annullerebbe buona parte dei risultati ottenuti negli ultimi 8 anni. E poi perché è convinto che gli orientamenti di Trump, specie a livello internazionale, nuocerebbero agli Stati Uniti e ai suoi rapporti con gli alleati. Un esempio è venuto proprio ieri quando”The Donald” si è pronunciato sulla Brexit: «La Gran Bretagna starebbe meglio fuori dalla Ue», ha detto in un’intervista alla Fox, ricordando di conoscere bene il Paese, per avervi fatto degli investimenti, e dando le colpe a Bruxelles per la crisi migratoria, definita «una cosa terribile ». Così il candidato repubblicano si è schierato in modo opposto a Obama, che nel recente viaggio a Londra aveva insistito sui vantaggi per la Gran Bretagna nel restare nell’Unione e sulla garanzia che ciò avrebbe rappresentato per gli Stati Uniti.Argomentazioni, queste del presidente, che l’establishment repubblicano condivide, così come non si sente affatto tranquillo per la superficialità con cui Trump affronta il futuro della Nato o i rapporti con la Russia, ridotti all’amicizia con Putin.Ed è in questo clima di diffidenza che è nato l’ultimo litigio in casa repubblicana. Dopo le prese di distanza dei due ex-presidenti Bush, erano arrivate infatti le parole di Paul Ryan, presidente della camera dei rappresentanti e come tale massima carica istituzionale del partito(«non sono ancora pronto a schierarmi a favore della candidatura di Trump». La cui reazione di Trump è stata immediata e indispettita: «Neanch’io sono pronto ad appoggiare la piattaforma politica di Ryan». I due si incontreranno per dirimere le questioni, ma ci vorrà del tempo – se mai sarà possibile – per far convergere il partito di Lincoln e Reagan sulle posizioni populiste e xenofobe di Trump.In campo democratico, intanto, mentre Sanders non si dà per vinto (anche Obama lo ha invitato a «ragionare sulla matematica dei delegati»), Hillary Clinton affila le armi per il grande duello, lanciando una campagna di spot anti-Trump, e potrebbe presto tirare anche un sospiro di sollievo sullo scandalo delle sue mail private. Secondo voci ben informate, l’Fbi starebbe infatti per concludere l’inchiesta senza la richiesta di un rinvio a giudizio.