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 2016  maggio 08 Domenica calendario

La battaglia delle Emoji. Se una faccina sorridente con lacrime di gioia può creare una vera e propria guerra tra i membri del consorzio Unicode

Sono ovunque. Vengono usate da milioni di persone ogni giorno per comunicazioni di qualsiasi tipo. Nate in Giappone negli anni Novanta ma esplose in tutto il mondo negli ultimi anni grazie alla diffusione degli smartphone, le emoji sono una serie di caratteri particolari che stanno cambiando le nostre comunicazioni scritte, sostituendosi – o affiancandosi – alle parole. Ogni anno l’Oxford Dictionary elegge «la parola dell’anno» e a vincere nel 2015 è stata una non-parola: una faccina sorridente con lacrime di gioia che le scendono dagli occhi.
C’è un problema però: sono un monopolio controllato dall’Unicode Consortium, l’ente non-profit che ha creato il cosiddetto Unicode Standard e «regola» la lingua scritta nei sistemi informatici, decidendo quali caratteri digitali implementare nei sistemi informatici di tutto il mondo. In pratica l’Unicode Consortium, un ente diretto dal sessantatreenne Mark Davis che forse non era preparato all’invasione cool delle emoji, si occupa della codifica di tutti i sistemi di scrittura, dall’alfabeto latino al cuneiforme, dall’esperanto al fenicio fino alle «lingue simboliche» come la matematica e la musica.
Così il consorzio sta vivendo una guerra intestina: da una parte i «progressisti», che vorrebbero concentrarsi sui nuovi simboli liberamente; dall’altra i «tradizionalisti», poco abituati a un settore così giovane e in crescita come le emoji, considerata una distrazione dalla vera missione di Unicode. Il conflitto, subito soprannominato Emojigeddon (dall’Armageddon neotestamentario del giudizio finale), è stato svelato da «BuzzFeed News», che ha pubblicato alcune mail interne di membri dell’ente. Tra i più agguerriti sul fronte anti-emoji, il tipografo Michael Everson, che in ha tagliato corto: «Emoji, emoji, emoji. Pensano tutti solo alle emoji!».
Come ha spiegato Mark Davis a «BuzzFeed», Unicode si occupa solo perifericamente delle emoji, ma quelle poche discussioni sulle nuove immagini generano un interesse collettivo incomparabile, per esempio, rispetto a un antico carattere tipografico nordico. Proprio in questa convivenza forzata giace la causa dell’ emojigeddon : «L’Unicode si basa su un lungo lavoro di ricerca e analisi che è necessario quando si ha a che fare con caratteri antichi e lingue estinte. La creazione di un’emoji, invece, può essere seguita con un metodo diverso e nuovo. Ed è questo il problema: tale metodo non esiste ancora».
L’Unicode ha una missione importantissima, quella di offrire a chiunque un set di lettere e simboli da utilizzare online. Everson ha fatto l’esempio di una lingua tribale indiana che deve ancora essere codificata e quindi non può essere utilizzata da chi la parla.
Così mentre la vecchia guardia proponeva di aggiungere alcuni segni di interpunzione medievali al codice Unicode, una maggioranza silenziosa chiede di lavorare con più agilità sulle emoji, che considera più urgenti. Entrambe le fazioni si sentono snobbate dall’altra. Ed entrambe, a loro modo, hanno ragione.
Il Consortium è infatti diventato un ente dalla doppia anima, che impone una convivenza forzata frustrante per alcuni membri e limitante per altri, perché l’organizzazione è costretta a trattare i due settori allo stesso modo. Quest’anno, per esempio, ha presentato una nuova faccina dall’espressione dubbiosa con sopracciglio alzato, ribattezzata Colbert Emoji in onore di Stephen Colbert, comico ed erede di David Letterman al Late Show. Pur non essendo un’innovazione rivoluzionaria, il carattere vedrà la luce solo nel 2017 e per arrivare a questo punto, i suoi creatori hanno dovuto rispondere a un questionario di 53 domande, presentare un saggio di 5.400 battute e partecipare a diversi dibattiti interni. Una trafila ragionevole quando si studia un alfabeto poco conosciuto per portarlo nei computer di tutto il mondo, forse meno per una faccina un po’ spocchiosa.