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 2016  maggio 08 Domenica calendario

Filippo Facci ha attraversato il confine col Brennero e non lo ha fermato nessuno. Per aggirare i controlli è passato dalla Val di Vize e in tre ore era in Austria

Venerdì ho valicato il confine del Brennero a piedi – tra Italia e Austria – e non mi ha fermato nessuno, o per essere precisi: non ho incontrato nessuno. Cioè: non era propriamente il Passo del Brennero, si chiama Passo di Vizze ma è subito lì affianco, sulla destra, l’ho raggiunto prima in auto e poi a piedi mentre manifestanti a poliziotti si menavano a valle. In fondo a questa Val di Vizze, località Sasso, ho caricato lo zaino e sono salito per almeno tre ore: ma solo perché quest’anno c’è stata una nevicata eccezionale e la strada e poi il sentiero erano coperti e introvabili; ergo, sono andato un po’ a caso – come un viandante avventuroso, magari del Nordafrica – sinché al termine di una faticaccia boia eccomi al Rifugio Passo di Vizze (Pfitscherjoch-Haus) e cioè in Austria. Il rifugio ovviamente è chiuso, ma cento metri più in giù, proprio di fronte al cartello «Republik Osterreich», c’è un modesto bivacco invernale in cui un viadante avventuroso, magari del Burkina-Faso, può anche dormire prima di invadere i crucchi. Insomma, magari non in questa stagione: ma andare in Austria passando il «muro» del Brennero è proprio una cazzata. È dal febbraio scorso che l’Austria paventa «un sistema di controlli e recinzioni» per limitare il flusso dei migranti su vari valichi (Brennero, Tarvisio, Resia ecc.) ma questo non l’ha neppure mai nominato, la verità è che sono troppi, ma in pratica si può passare anche dal Brennero. Per saperlo non occorre essere delle espertissime guide locali. Io sono di Milano. Ma ora la riraccontiamo meglio.
Allora: venerdì mattina presto, sull’autostrada, è già un incubo a Bressanone, a 40 chilometri dal confine. I camion sono fermi e gli autisti scendono, chiacchierano, la prendono con filosofia. Quasi non si riesce a uscire all’Autogrill o più semplicemente a Vipiteno e imboccare la Pfitscher Tal/Val di Vizze. Valle fantastica, deserta. Ad Avenes, però, c’è uno spazio con le camionette della Polizia che si preparano all’indomani. La strada sale e si stringe – ci passa una sola macchina – sino a Stein/Sasso, ultimo centro abitato. L’asfalto finisce e si prosegue su uno sterrato sino al quarto tornante, dove c’è una specie di parcheggio. Si potrebbe anche proseguire in auto, ma la nostra è sportiva e comunque c’è una specie di trattore con un tizio che sega alberi. «Parla italiano?»; «No»; «Posso andare con macchina?»; «Nein, tanta neve, io devo fare legno». Il dialogo è significativo perché per molte ore sarà l’ultimo. Carico lo zaino pesante (ho una mezza idea di dormire al confine) e si va.
È una vecchia strada miltare che prende quota lentamente sinché spunta la neve, tanta. Il sentiero n.3 consente di tagliare ma si affonda sino a metà gamba e la traccia diventa invisibile. Orientarsi non è facile, ma in piena estate qui c’è una tonnellata di gente e pure le mountain bike. Si sale. Alla fine del bosco ci sono delle isole di cespugli e delle zone battute dal sole, senza neve. Cominciano i muri. C’è una specie di staccionata tipo ranch e una fascetta di plastica azzurra che forse delimita il confine, vai a saperlo. La salita è tosta e incerta, la quota si fa sentire, i ramponi non servono perché la neve è frolla e c’è un sole accecante. Dopo una vita, ecco lassù il rifugio a quota 2.276. Ufficialmente siamo nelle Alpi Aurine (Zillertaler Alpen) e il casolare fu inaugurato nel 1888, ma poi con l’annessione del Sud-Tirolo cominciò il casino: nel 1966 gli irredentisti sudtirolesi (Bas) fecero saltare una parte dell’edificio e il militare italiano Bruno Bolognesi ci rimise la pelle. C’è una targa che è un capolavoro di ipocrisia diplomatica: «Caduto nell’adempimento del proprio dovere».
Comunque siamo in Austria. E non c’è nessuno. Tracciati e cartelli sono coperti dalla neve, ma qualcosa si legge. Il rifugio è bellissimo anche perché è ben armonizzato, la quinta generazione di gestori l’ha ristrutturato nel 2012: nella stagione calda è tutto un viavai di escursionisti di entrambe le parti. Sulla via in discesa verso l’Austria, a meno di cento metri dal rifugio, c’è una specie di bivacco invernale per passare la notte. Ci sono dei letti a castello sovrapponibili, tipo quelli delle carceri; c’è pure una stufa a legna con tanto di legna, ma non funziona, perché la nuova normativa antincendio ne ha proibito l’uso. Sarà di sicuro una norma comunitaria. Nel bivacco purtroppo mancano materassi e coperte e cuscini: per trovarli probabilmente bisognerebbe raggiungere il rifugio Europa (Europahutte) che è a due ore e mezza, ma calcolate senza quel metro di neve; è un rifugio fantastico (a quota 2.713) che è costruito proprio sulla cresta di confine, e, in pratica, due terzi del casolare sono italiani e un terzo è in Austria. Magari ci faranno un muro dentro. Comincia il freddo: morale, devo tornarmene giù e pure in fretta, perché è pomeriggio e siamo già sottozero. E poi lo zaino pesa: ci stanno dentro viveri per due giorni o, volendo, un bambino di cinque anni. Il cellulare ricomincia a prendere, mi dà il benvenuto in Austria. Mi arriva subito una chiamata di Enrico Mentana che mi vorrebbe in trasmissione a parlare di mafia: spiegargli dove sono e che cosa sto facendo non è semplicissimo. Poi spedisco una foto di «vetta» a Maurizio Belpietro, che però non mi risponde nonostante io stia invadendo un altro Paese attraverso le montagne. Torno giù. La valle è davvero stupenda. Torna il caldo. Ripasso affianco alle camionette della Polizia che si preparano ad affrontare i deficienti che presto lanceranno sassi e petardi. Indosseranno dei passamontagna, dimentichi che i passamontagna dovrebbero servire proprio a questo: a passare una montagna.