Il Messaggero, 8 maggio 2016
Frédéric Desnard, il francese che ha fatto causa alla sua azienda per esaurimento da noia: prendeva 4mila euro netti al mese per non fare niente
Frédéric Desnard aveva quello che si dice “un ottimo posto”: un ufficio sugli Champs Elysées, 4mila euro netti al mese, buoni rapporti con i colleghi. Alla Interparfums, ditta specializzata nella concezione e la distribuzione di profumi in licenza, non stava mai con le mani in mano: aveva “mansioni logistiche e amministrative”, riparava i guasti, verificava i contratti, controllava le note spese, risolveva problemi, insomma era il tuttofare. È quando è diventato un “nullafare” (anche se a parità di stipendio) che le cose hanno cominciato ad andare male. Da un giorno all’altro: più niente. Le ore di lavoro si sono trasformate in ore di nullafacenza. Alla fine del mese la busta paga arrivava puntuale, ma per il resto le mansioni che prima lo rendevano indispensabile, hanno cominciato a essere svolte dagli altri colleghi e a lui non è rimasto che la sedia, un tavolo e qualche minuzia: «Venti, quaranta minuti massimo di lavoro al giorno» dice oggi. In teoria, la pacchia.
Invece di noia Desnard si è ammalato: ulcera, crisi epilettiche, depressione. E oggi, primo in Francia, Desnard ha portato il suo datore davanti ai probiviri: chiede che gli venga riconosciuta la sindrome da bore-out, l’esaurimento da noia, lo sfinimento da ozio forzato, il contrario non meno patologico del burn-out, quando invece il carico di lavoro diventa insostenibile.
I PALLIATIVIIl Codice riconosce per ora, e in casi rari e molto specifici, il “demansionamento”, una variante del mobbing: sussiste quando il lavoratore è lasciato in condizioni di forzata inattività e il padrone può essere chiamato in causa. Nessuno, a parte gli psicologi, hanno però mai preso in considerazione i danni esistenziali dell’effetto collaterale più vistoso del non avere niente da fare: la noia. E i “palliativi” che impone per colmare i vuoti e ammazzare il tempo: più sigarette, più caffè, più internet. Desnard potrebbe fare scuola: ha chiesto al suo ex datore di lavoro 150mila euro di danni morali, 200mila euro per licenziamento abusivo (è stato licenziato per troppe assenze dopo un incidente stradale causato da crisi epilettica) e 8mila euro di mancato preavviso. La sentenza arriverà il 27 luglio.
Secondo i suoi legali, a provocare il castigo all’inattività sarebbe stata la perdita di un importante cliente per l’azienda. I dirigenti hanno cominciato a temere per il posto e si sarebbero messi a fare anche il lavoro di Desnard, lasciandolo preda di giornate oziose e tragicamente noiose. «Non avevo più energie. Mi sentivo in colpa e provavo vergogna di essere pagato per niente. Avevo l’impressione di essere diventato trasparente», dice. Per l’azienda tutto falso: Desnard non avrebbe mai comunicato il suo disagio, è già stato condannato, l’anno scorso, per diffamazione, e «nessuno ha stabilito che esista una correlazione tra i suoi problemi di salute e la sua situazione professionale».
L’INCHIESTASpetterà ai probiviri francesi stabilire se la noia al lavoro, anche se retribuita, rappresenti un danno professionale. Nel 2008, secondo uno studio Steptone, erano addirittura il 32% i lavoratori europei che si annoiavano al lavoro e che avevano dichiarato di passare «almeno due ore senza fare niente». Nel 2010 l’inchiesta “bored to death”, (annoiato da morire) realizzata su 7500 dipendenti pubblici inglesi, rivelava che gli annoiati hanno un rischio due o tre volte superiore di sviluppare disturbi cardiovascolari.
L’AUTOCENSURA«Per il 90% dei lavoratori, la noia è insopportabile, soltanto il 10% può trovare la felicità nel non fare nulla. Si tratta spesso di persone che non considerano il lavoro come un elemento indispensabile alla vita, un modo di realizzarsi che aiuta alla costruzione di sé», ha spiegato al mensile Psychologie, Christian Bourion, autore de La sindrome da bore-out, quando la noia al lavoro rende pazzi, edito da Albin Michel. In tempi di disoccupazione e di crisi economica, ammettere pubblicamente che si è pagati per non fare niente è inaccettabile. «Nonché politicamente molto scorretto – conferma Bourion – Oggi chi ha un lavoro è considerato soprattutto molto fortunato, chi dichiara di annoiarsi può anche provocare reazioni di odio. Da qui l’autocensura. Ma il tabù comincia a cadere». Frédéric Desnard ha fatto outing: «È stata una discesa all’inferno, insidiosa, un incubo. E poi provavo vergogna, una vergogna terribile ad essere pagato per non fare niente».