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 2016  maggio 08 Domenica calendario

«Gran Bretagna, non uscire. Pagheresti un prezzo economico importante e in cambio avresti una governance così disastrosa che al confronto quella di Bruxelles sembrerebbe un lavoro di fino». Il consiglio di Paul Krugman agli inglesi

Voglio ringraziare Boris Johnson, perché mi ha finalmente dato il coraggio morale per dire la mia su un argomento che finora avevo evitato: la «Brexit», cioè la possibile uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Le argomentazioni non sono inappuntabili come mi piacerebbe, ma il recente intervento dell’ex sindaco di Londra chiarisce la faccenda: la Gran Bretagna deve rimanere, se non altro per evitare di dare più forza a personaggi come lui.
Cominciamo dalle faccende economiche. Girano diverse stime sull’impatto economico della Brexit, ma io preferisco un calcoletto alla buona e facile da capire (e in linea con altri risultati più dettagliati). Eccolo qua: prima che la Gran Bretagna entrasse nell’Unione Europea, solo un terzo dei suoi commerci internazionali avveniva con l’Europa. Ora sono circa la metà, ed è improbabile che si tratti di un caso di diversione degli scambi. Perciò, a meno che la Gran Bretagna non riesca a negoziare qualcosa di simile all’accordo fra Norvegia e Ue – che sostanzialmente significherebbe accettare le politiche dell’Unione Europea senza più avere la possibilità di condizionarle – possiamo prevedere che la Brexit ridurrà la percentuale degli scambi commerciali sul prodotto interno lordo britannico dal 30% circa al 25% circa.
Quanto vale questa riduzione? In passato ho usato l’elegante analisi Eaton-Kortum degli scambi commerciali come parametro per valutare la globalizzazione. Questa analisi indica che la Brexit ridurrebbe il reddito reale del Regno Unito dell’1,7 per cento. Facciamo il 2%, sapendo che queste cose presentano ampi margini di errore.
Dobbiamo, come sostengono alcuni commentatori, moltiplicare questa cifra per due o più per tener conto dei guadagni dinamici? In generale è un metodo che non mi piace molto, perché assomiglia troppo a quella prassi diffusa di basare un’argomentazione di politica economica su modelli economici elementari e poi invocare fattori che non sono contemplati in quei modelli per far sembrare l’argomentazione più solida di quel che è. Che motivo c’è di sbandierare gli effetti dinamici degli scambi commerciali rispetto a tante altre cose?
Ma il 2% è tanto. È molto difficile trovare una politica che renda un Paese più ricco del 2% in pianta stabile. Le ragioni per lasciare l’Unione Europea devono essere davvero ottime per essere disposti a fare un sacrificio del genere.
Che dire a proposito della distribuzione del reddito, che è una questione rilevante in molti accordi commerciali? In questo caso è abbastanza insignificante: in media l’Unione Europea è comparabile alla gran Bretagna quanto a salari e reddito pro capite.
Ma allora qual è la questione fondamentale? Per dirla in una parola, la governance. La giustificazione della Brexit, in buona sostanza, è che far parte dell’Unione Europea vincola la Gran Bretagna a un’istituzione gestita in modo pessimo. E purtroppo è una giustificazione ragionevolmente fondata. Gli eurocrati ne hanno combinate parecchie: l’errore (a mio parere) dell’euro, l’inflessibile e irresponsabile decisione di incoraggiare l’austerità, la sciagurata risposta alla crisi dei rifugiati e in generale l’incapacità di prendere sul serio le tensioni create dalle migrazioni interne. Inoltre, l’Europa è si è dimostrata quasi del tutto inutile di fronte alla distruzione della democrazia in Ungheria. Ma invocare i difetti della Ue come ragioni per lasciarla equivale, come diceva l’economista George Stigler, a dare il premio in una gara di canto al secondo concorrente perché hai sentito il primo. Se la Gran Bretagna lasciasse l’Unione e sfuggisse alla morsa degli eurocrati, chi ne uscirebbe rafforzato?
Qualcuno dice che gli atteggiamenti e la natura delle forze pro-Brexit non sono un valido argomento per rimanere. Ma è sbagliato: domandarsi chi comanderebbe dopo e chi ne uscirebbe rafforzato è assolutamente rilevante. E a questo proposito la recente invettiva di Johnson contro Obama sul Sun è meravigliosamente chiarificatrice. Perché ci dice chi sono veramente i tories anti-Ue; ci dice non solo che sono abbastanza vicini allo Ukip, i populisti del Partito dell’indipendenza del Regno Unito, ma che dimorano, sul piano intellettuale ed emotivo, nelle stesse malsane paludi della destra americana. Ed è più che probabile che assumerebbero un ruolo forte, se non addirittura dominante, nella politica britannica del dopo-Brexit.
Insomma: Gran Bretagna, non uscire. Pagheresti un prezzo economico importante e in cambio avresti una governance così disastrosa che al confronto quella di Bruxelles sembrerebbe un lavoro di fino.