Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2016
Tutto il mondo unito da una mail
Chi oggi è in cerca di tecnologie, software e nuovi protocolli per sincronizzare e tenere assieme la internet delle cose, quella fatta di oggetti connessi, può ispirarsi alla storia di una tecnologia tra le più antiche della rete delle reti, che “tiene assieme” le persone: la posta elettronica. La vera lingua franca di internet, capace da 45 anni di sincronizzare gli individui e consentire loro di comunicare direttamente senza barriere. Perché tutti hanno la mail (secondo il Radicati Group ci sono 4,3 miliardi di indirizzi di posta elettronica e gli utenti ne hanno in media due).
Consideriamo solo l’impatto che la mail ha avuto nel mondo del lavoro: «Nella vecchia cultura del business – dice Steven Sinofsky, coordinatore per anni in Microsoft di Office e poi di Windows – comunicavamo con il nostro capo o con il nostro gruppo di lavoro di persona durante riunioni o con memo stampati e distribuiti nel sistema di posta interna dell’ufficio. L’email è arrivata negli uffici alla fine degli anni 90 ed è stato il singolo strumento che ha cambiato il modo in cui le persone lavorano e le loro aspettative nella comunicazione».
In poco tempo la cultura della mail, con il coinvolgimento di livelli diversi (con la mail si possono saltare tutti i livelli di lavoro, ovvero coinvolgerli nello stesso flusso di comunicazione), l’approccio sempre più rapido alle iterazioni di lavoro, ha portato cambiamenti radicali. Una prova al contrario è data dalla consumerizzazione: la spinta più forte nell’utilizzo di strumenti informatici consumer in ambiente lavorativo è stata la possibilità di lavorare meglio e più rapidamente in mobilità. Per farlo la “navicella” con la quale trasportare le informazioni da un contesto tecnologico lavorativo a uno privato è stata la mail: quanti messaggi inviati a se stessi con documenti Word, Excel e PowerPoint per continuare a casa, sul Mac, sul telefonino, sul tablet?
Ancora, la mail è diventato lo strumento di coordinamento delle attività dei gruppi sociali più disparati: uno dei pilastri più resistenti di Yahoo è sempre stata la parte di liste di posta elettronica. E il ruolo che queste hanno avuto come “groupware”, come software sociale per tenere assieme i gruppi di coloro i quali sono uniti da una comunità di pensiero e desideri forte o debole che sia, è incalcolabile. Dalla rete Lilliput a Star Trek Email System, le mailing list hanno fatto da ingranaggi dell’orologio sociale per centinaia di milioni di persone.
Per questo nel tempo sono stati parecchi quelli che hanno cercato di far fuori l’email. Google, che con Gmail l’ha radicalmente trasformata, ha poi cercato di sgambettarla con Wave e adesso prova di nuovo con i sistemi di collaborazione. Sono nate startup miliardarie come Slack (software per la collaborazione) che cercano esplicitamente di proporre soluzioni in cui «si dica basta a quell’infinito susseguirsi di email, infinite repliche con versioni sempre diverse dei documenti». Cisco ha una app simile: Spark. Invece, Dropbox cerca di proporre sistemi di collaborazione, centrati sui documenti anziché sui commenti, invertendo i fattori dell’equazione (i commenti a margine dei documenti anziché i documenti allegati ai commenti, come peraltro fa anche Google Docs). E non dimentichiamo poi Whatsapp, Facebook e Telegram, con gruppi e possibilità di mettere assieme le persone attorno ai progetti, ai problemi, alle conversazioni, alle informazioni.
Tutto bello ma tutto piuttosto inutile: alla fine ci si manda sempre una mail. È quello lo strumento che riassume e che coinvolge, perché non richiede adattamenti o cambiamenti ai flussi di lavoro. Tutti siamo compatibili con la mail, tutti abbiamo in qualche modo imparato a gestirla, a guardarla e a utilizzarla, a differenza di app, software e social che, per quanto universali, non sono mai così universali. Talmente diffusa che ne usiamo anche l’indirizzo come credenziale di identità digitale.
Ray Tomlinson, ingegnere americano scomparso due mesi fa a 75 anni, è accreditato come «l’inventore della mail» (e della scelta della chiocciolina come simbolo funzionale al suo utilizzo). È stato lui, nel 1971, il punto di sintesi di un processo iniziato già quindici anni prima nei grandi mainframe, i calcolatori del passato dove più utenti di una singola macchina si lasciavano messaggi di testo nelle rispettive directory. Poi l’email è stata un fattore di accelerazione sia nell’adozione di Arpanet (sostanzialmente rifunzionalizzandola da strumento di calcolo distribuito a strumento di comunicazione) divenuta quindi internet, e nella diffusione delle BBS sino a FidoNet. Il cui sistema di posta è stato collegato per la prima volta a quello di Internet nel 1988.
L’email rispetto alla posta fisica ha in comune solo lo statuto, non la forma o l’azione: non possiede ad esempio una busta virtuale che la protegga dagli sguardi indiscreti dei suoi postini. Ed è facilmente hackerabile, come hanno capito subito gli spammer, anche se negli ultimi tempi si sono fatti sforzi per rendere il protocollo SMTP più robusto e sicuro.
Tutto però nel rispetto della retro-compatibilità: mentre le mailbox (cioè il modo in cui conserviamo la posta sui nostri dispositivi) cambia a seconda del software che usiamo, la mail viaggia tra i server di internet in modo immutato. Tanto che una mail spedita trent’anni fa che per qualche inghippo fosse rimasta incastrata in un fiordo della rete, se arrivasse oggi potrebbe essere tranquillamente letta. Non si può dire la stessa cosa di altre tecnologie per la comunicazione.