il Fatto Quotidiano, 9 maggio 2016
Non è cambiato niente, i Casamonica continuano a comandare a Roma
Era l’apoteosi del loro potere, il segno del dominio sulla zona sudest della capitale. I funerali di Vittorio Casamonica dello scorso 20 agosto –intrisi di simboli, dalla carrozza con i cavalli, alle note del Padrino –fecero stracciare le vesti a tanti. “Imbarazzo”, per la Curia romana. Il prefetto Gabrielli pronto a creare tavoli ad hoc. Alfano che giurava “mai più”. Bruno Vespa che amplificava tutto ospitando il nipote del boss. Nove mesi sono passati, le elezioni comunali più difficili della storia di Roma sono alle porte e il potere criminale dei Casamonica è sparito dall’agenda. Non una parola. “Tutta Roma li conosce”, giurava la presidente del Municipio VII Susi Fantino. E tutta la città, alla fine, li teme. Entrare nella loro roccaforte non è facile. Ogni vicolo ha la sua sentinella. Occhio veloce, esperto. Se sei un “gaggio” non gli sfuggi. O sei un cliente, o sei uno sbirro. Gli abitanti di via Barzilai, che come un budello parte dal Grande raccordo anulare per infilarsi nell’ultima campagna romana, li conosce uno ad uno. È una vedetta, scruta e segnala. Quello è territorio loro, qui comandano i Casamonica.
La centrale dello spaccio
Cuore del quartiere Romanina, periferia sud della capitale, dove la Tuscolana si arrampica verso la città di Frascati. Per anni la centrale dello spaccio di cocaina, con telecamere a circuito chiuso e i camini sempre accesi per bruciare le partite di droga quando si affacciavano polizia o carabinieri. Qui, nel 2012, la Procura di Roma fece arrestare 39 persone con l’accusa di associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Quasi tutti scarcerati, dopo la sentenza assolutoria della Cassazione. E oggi, dopo quattro anni, la grande famiglia allargata dei Casamonica controlla metro dopo metro quel groviglio di strade. Tra i grandi shopping center e l’Università di Tor Vergata. L’immagine che più amano è quella del Re. Poltrone dorate, pistole tatuate, damaschi, leoni di pietra, giardini perfetti. E poi casse di champagne, Porche, Ferrari, Mercedes. Conti correnti a sei cifre, quadri antichi, accanto alle vecchie fotografie degli anni ‘70. In fondo l’ufficio di Enrico Nicoletti –il cassiere della banda della Magliana –sulla via Tuscolana, con le mattonelle d’argento sul pavimento, potrebbe sembrare sobrio. Non nascondono il tesoro, anzi. Le facciate delle ville servono a marcare la differenza, a tenere lontana da sé la normalità. Sono i padroni di questa parte di Roma da quarant’anni, da quando entrarono nelle terre demaniali dell’antica Università agraria di Frascati – in teoria destinate agli invalidi di guerra –tra gli anni ‘60 e‘70. La via Tuscolana era un asse, che portava dai quartieri della media borghesia, fino a Cinecittà. Poi attraversava il confine tra l’a gr o romano e la periferia dei ragazzi di vita, con le strade di fango e i palazzi che crescevano. Quella terra i Casamonica se la presero senza problemi. Le prime case, poi il condono craxiano del 1985. Nessuno controllava, lo Stato pensava ad altro.
I cowboy di Nicoletti
Poi arrivò Enrico Nicoletti, il cassiere della banda della Magliana, l’uomo in grado di moltiplicare e ripulire i soldi delle rapine e del narcotraffico, attraverso la macchina dell’usura. Il Clan “degli zingari” era lì. Duecento metri di strada dividevano le vie di Casamonica City dal salone con le mattonelle d’argento. Quando serviva – e spesso serviva – dalla Romanina partiva un pulmino, con 12 uomini a bordo. Bastava quel nome, Casamonica, e tutti pagavano. Avevano cappelli da cowboy, un dialetto difficile da dimenticare e impossibile da capire. La banda della Magliana è diventata un serial televisivo, gran parte dei duri delle “batterie” sono morti. Massimo Carminati, il nero, è finito di nuovo in carcere, aprendo la stagione di Mafia capitale. De Pedis non c’è più e Nicoletti è ormai a fine corsa, con l’intero patrimonio sequestrato. Di quell’epoca a Roma rimangono in fondo solo loro. I Casamonica si sono evoluti, oggi il cappello lo portano solo gli anziani, come Nando, detto J.R., quando esce dal suo villone hollywoodiano sulla via Tuscolana, tra le palme e gli infissi di legno pregiato. I ragazzi preferiscono i tatuaggi e le frasi di Pablo Escobar, il boss del cartello colombiano di Medellin morto nel 1993, protagonista della serie Narcos che spopola su Netflix.
“Sono un arcipelago, un insieme di famiglie che spesso non hanno contatti tra di loro”, spiegano alcuni investigatori che da anni cercano il modo per penetrare il mondo criminale dell’etnia Sinti. Una decina di famiglie: i Di Silvio (con un ramo particolarmente forte a Latina), gli Spada (radicati a Ostia), gli Spinelli, i De Rosa. E poi i Casamonica, cognome che a Roma ormai si associa alla parola clan, anche se mai sono stati accusati di associazione mafiosa: “Non hanno una struttura verticistica – raccontano le fonti investigative –sono orizzontali”. In questo sono diversi dalle mafie che a Roma si spartiscono affari e piazze della droga. I Casamonica non si nascondono, anzi. Li trovi a decine su Facebook, dove mostrano foto di pistole incastonate di brillanti e citazioni del capo del cartello di Medellin: “Mi parli, ti parlo, mi ignori, ti ignoro, mi tratti male, ti tratto peggio, mi tratti bene, ti tratto meglio”, pubblicava un Di Silvio lo scorso dicembre, citando Escobar. E poi il lusso incontenibile, sfrontato. Non solo il famoso funerale di “z io Vittorio” dello scorso anno: il carro con quattro cavalli bianchi lo ha usato il pugile Domenico Spada per la comunione del figlio. E nella chiesa della Romanina, fino allo scorso anno, quasi tutte le cerimonie funebri sono avvenute con il cocchio trainato da cavalli. “E con i petali di fiori che inondavano il quartiere”, racconta un abitante del quartiere.
I soldi a strozzo e le imprese fallite
Dalle parti di via Barzilai non ci vai solo per la cocaina. Alla Tuscolana in tanti sanno che se ti servono soldi a strozzo qui hai le porte aperte. Basta bussare alla villa giusta. Fabio G. aveva un bar, appena avviato. Era il giugno del 2009, gli servivano i soldi per finire di pagare la licenza e i lavori di ristrutturazione. La banca non lo aiutava. Sapeva, come tanti, che alla Romanina poteva trovare soldi facili, veloci, pronto cassa. Ha chiesto di “Jaqueline” e dopo poco è uscito con 20 mila euro in tasca. Non sono bastati. Ha cambiato via, spostandosi di pochi metri e un’altra Casamonica – omonima della prima – ha aggiunto altri 20 mila euro. L’inizio di un incubo durato quattro anni. Ha perso tutto, casa, bar. Per coprire il primo prestito ha dovuto sborsare 86 mila euro. Poi è finito nella mani di un Casamonica famoso, Domenico Spada, il pugile “Vulcano”. Anche un altro imprenditore edile si era rivolto a loro, per cercare di salvare la casa finita all’asta: alla fine ha dovuto ristrutturare la villa del pugile, in un clima che i magistrati hanno definito di “assoluta tensione, con continue vessazioni, minacce e umiliazioni messe in atto dagli Spada, fino ad arrivare ad atti di vi ole nza”. Parole che il Gip di Roma ha riportato nell’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari –con l’accusa di usura – per Domenico Spada e il padre Angelo. Prendersi un pugno in faccia da Vulcano è un’esperienza che ricordi per il resto della vita.
Le ville abusive, il simbolo del potere
Le ville sono il segno evidente e tangibile di una sorta di
impunità ormai storica. Stanziali da generazioni, i Casamonica hanno fatto dell’area sud di Roma il loro regno. Incontrastato e abusivo. E anche in questo caso il nome conta: “I lavori nelle loro case mica li pagano”, raccontano alcuni abitanti della zona. Gente arrivata dalla regioni del sud, quando il boom edilizio prometteva una vita diversa nella capitale: “Controllano il giro della droga, fanno usura ed estorsioni, continue – spiega un gruppetto di donne –. Le ditte che lavorano sulle loro case sono sotto usura, non vengono pagate”. Un racconto che combacia con quanto ricostruito da ll ’inchiesta sulla famiglia Spada. Alla fine è una sorta di tassa che gli imprenditori locali devono pagare al clan. Dietro il loro radicamento nel territorio c’è l’incredibile storia di terre sottratte al demanio. Le visure all’agenzia del territorio delle ville dei Casamonica in zona Romanina restituiscono sempre il nome del Comune di Frascati come comproprietario. In buona sostanza Casamonica City è nata e cresciuta su terre pubbliche, con villoni costruiti abusivamente dalle famiglie accusate di spaccio e usura, lasciando il comune proprietario dell’area senza nessun potere. Complessivamente nel quartiere sono più di 500 gli immobili in questa curiosa situazione, includendo le case sequestrate nel 2012 – e poi dissequestrate dal riesame –alle famiglie accusate di narcotraffico. “È una vicenda che dura da decenni”, ammette il sindaco di Frascati Alessandro Spalletta. Quei terreni fin dagli anni ‘20 erano gli antichi usi civici del comune dei Castelli romani, un bene demaniale considerato indisponibile: non cedibile e non sottoposto ad usucapione. Negli anni ‘60 e ‘70 in tanti iniziarono a costruire: le terre originalmente destinate al pascolo e ai superstiti delle guerre furono inghiottite dall’abusivismo edilizio. Qualcuno ha accettato le proposte del comune di Frascati, che oggi è disposto a cedere il terreno a chi ha costruito una casa per necessità negli anni passati. Il prezzo è più che modico, compreso tra i 41 e i 50 euro al metro quadro: “Io ho regolarizzato tutto – ra cc o nt a un’abitante di via Barzilai – ma loro, i Casamonica, non ci pensano proprio”. E lo Stato sembra distratto da queste parti: “Non possiamo fare nulla –prosegue il sindaco di Frascati – fino a quando il Commissario per gli usi civici non deciderà su un ricorso che le famiglie hanno presentato”. Tempi? “Una decisione che aspettiamo da più di dieci anni –spiega l’assessore al patrimonio di Frascati Damiano Morelli – loro, i Casamonica, ogni tanto vengono qui in venti, dicendo che non hanno i soldi per rateizzare l’eventuale costo del terreno. Tra l’altro per l’agenzia dei beni confiscati, in questa situazione non è neanche possibile effettuare eventuali misure di prevenzione, come la confisca dei beni”. Oltre al danno, la beffa: “Su quelle case –spiega il sindaco – paghiamo l’Imu al comune di Roma”. Possibile? “Hanno un bravo avvocato esperto di usi civici”, spiegano da Frascati. Il nome? “Preferiamo non dirlo, la situazione è delicata, lo capisce anche lei...”. Già. Dall’ufficio del Commissario per gli usi civici, nonostante le richieste di chiarimento, non è arrivata alcuna risposta.
Nel nome di Pablo Escobar
“Lo vedi l’autobus?”. Un gruppo di donne indica la fermata del 046 su Via del Ponte delle sette miglia, la strada che porta a Casamonica City: “Se loro sono in mezzo alla carreggiata, chiacchierando, l’autista si ferma, non suona il clacson, aspetta che finiscano. È incredibile quello che accade qu i”. È una sorta di timore diffuso, non dichiarato, ma che leggi negli occhi quando nomini i nomi più noti del clan: “Qui tutti hanno paura, tutti. Nessuno parla. Quando la polizia ha chiesto ad alcuni abitanti della zona di mettere le telecamere sui balconi per sorvegliare alcune vie, tutti hanno detto di no, per paura di ritorsioni. Anche se fanno una retata, passano pochi mesi e vengono scarcerati”. Alla fine per vivere tranquillo da queste parti devi imparare la regola aurea racchiusa nella frase di Pablo Escobar pubblicata come proclama sui social media: “Mi tratti male, ti tratto peggio, mi tratti bene, ti tratto meg li o”. Il silenzio e la rassegnazione sono i paradigmi di quel territorio controllato metro dopo metro, casa abusiva dopo casa abusiva, minaccia dopo minaccia. Lo Stato si è fermato poco prima.