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 2016  maggio 09 Lunedì calendario

Le gaffes sono solo piccole confessioni coperte con l’imbarazzo. Analisi di un flagello universale alquanto esilarante

Chi di noi non ha mai fatto una gaffe? Quante ne abbiamo viste e sentite fatte da altri con il piacere perverso di esserne testimoni? Giuseppe Manfridi ne sa molto, da uomo di teatro, autore di commedie, amante della letteratura e del suo ricco repertorio di situazioni e personaggi. Un esperto conoscitore di gaffes, in parte vissute o riferite, in parte lette, tutte esaminate in un divertito dialogo informale con un lettore complice (Anatomia della gaffe, La lepre, 159 pagine, 16 euro). Se «tutto è simbolo e analogia» (Pessoa), Manfridi sa bene che proprio le situazioni e le parole fuori controllo delle gaffes svelano il nostro modo di essere nel mondo, nei momenti in cui cessa come d’incanto la vigilanza speciale della ragione.
ELEFANTI«La gaffe è un atto mancato» spiega Freud, in Psicopatologia della vita quotidiana (1904), sorprendendoci con l’affermazione che l’ “Io” non è padrone in casa propria, nonostante s’illuda di abitarne e di conoscerne ogni spazio. Non accogliendo noi, quasi mai, comunque, il suggerimento di Wittgenstein, secondo il quale «su ciò di cui non si può parlare si deve tacere», nelle più svariate occasioni diventiamo come elefanti in una cristalleria. 
Solo in questo modo, però, le gaffes danno forma alle nostre pulsioni profonde, o per consolidare un’elevata opinione di noi stessi, o per esprimere un irrefrenabile anticonformismo che non arretra di fronte a nessun impedimento. Quando William James, ripreso da Wittgenstein, afferma, prima ancora di Freud, che «il pensiero è già completo all’inizio della proposizione», ci fa capire che anche lo spettro della gaffe c’è già prima di compiersi, che è sempre in atto, come una scintilla imbarazzante di verità, emergente con una forza sua propria da un soggetto fuori controllo.
RAZZISMO«La gaffe contesta l’Io, non lo abita», afferma Manfridi, elencando aneddoti su personaggi pubblici e gente comune, amici e sconosciuti, letteratura e storia. Innumerevoli e note le gaffes di un vecchio colonialista, come Filippo di Edimburgo, incapace di trattenere commenti razzisti nelle più diverse occasioni ufficiali, dagli incontri con i rappresentanti degli aborigeni australiani («Ma vi tirate ancora le lance uno contro l’altro?») a quelli con una donna keniota («Lei è una donna, vero?»). O quelle del brasiliano Cardoso, che per tutta la durata di un congresso boliviano si è ostinato a chiamare “peruviani” i boliviani; o di George W. Bush che, durante un’intervista, ha scambiato i talebani con un complesso rock. 
Celebri le gaffes di Mike Bongiorno, come quella di «Paolo vi ha detto» invece di «Paolo VI ha detto», pronunciata a Rischiatutto. Sincere e fuori controllo, tra i casi storici, le parole di conforto che un sacerdote rivolse a Francesco II, rifugiato a Gaeta, dopo l’ingresso di Garibaldi a Napoli, il 7 settembre 1860: «Maestà se non siete stato un gran re in terra, sarete un gran santo in paradiso!». Tra le gaffes dei volti noti, il caso esemplare di un’attrice, prima lusingata di essere stata riconosciuta da un tassista, poi irritata e delusa di essere stata scambiata per un’altra: un duro colpo alla vanità dell’Io, meglio essere ’nessuno’ che essere un ’altro’. 
Un classico il dono riciclato dimenticando il biglietto di auguri dell’amico che lo aveva donato a noi. Surreale la vicenda del diplomatico filippino scambiato per un domestico da un ospite distratto che a fine serata insiste a volergli dare la mancia. La ricognizione della gaffe in letteratura, nel gustoso libro di Manfridi, ha uno spazio di assoluto rilievo. Si va da Manzoni, a Shakespeare, a Molière, a Racine, a Pirandello, in una rassegna umoristica di equivoci che molto svelano del nostro fragile mondo sociale, una «struttura ad alto coefficiente di frangibilità». 
COMPASSIONE«Provo soltanto compassione per la donna sposata con un uomo che si chiama Jack», dice Gwendolen al finto Ernest che in realtà si chiama proprio Jack, nell’Importanza di essere onesto di Wilde. «Eh! Io fo l’orecchio da mercante» dice un ospite nel corso di una cena nella ricca casa del padre di Ludovico, il futuro fra’ Cristoforo, nei Promessi sposi, dimenticando che qualunque riferimento a quella passata attività è da cancellare. 
In definitiva, l’umoristica Anatomia di Manfridi mette in luce nella gaffe la contraddizione totale dell’intenzione, l’ancestrale corto circuito della mente che apre una finestra sull’inconscio per poi richiuderla immediatamente con giustificato imbarazzo.