Corriere della Sera, 8 maggio 2016
La sindrome del nemico è sempre funzionale al potere
Il bulgaro Cvetan Todorov narrava che al suo Paese sotto il comunismo il concetto di nemico era indispensabile al regime per poter attribuire ad esso ogni errore ed ogni malfunzionamento che si fosse verificato nell’andamento della vita sociale. Il critico letterario attribuisce un siffatto comportamento ai regimi totalitari. Devo però affermare – e non temo le smentite – che l’aspirazione al totalitarismo è fortemente diffusa anche da noi che sosteniamo che il nostro è un sistema democratico. Addirittura era più propenso a correggere i propri errori Lenin di quanto facciano i nostri politici. Sarà una mascheratura però io li vedo sempre accusare gli avversari politici di essere nel torto e ben difficilmente perdonano la loro ingenuità: i nemici sono sempre maligni e in mala fede ed agiscono sempre per fare del male.
Silverio Tondi
Caro Tondi,
Fra la sindrome del nemico, descritta da Todorov, e le aspre contrapposizioni fra partiti concorrenti nell’ambito di un sistema democratico, esiste una importante differenza. Nel Congresso degli Stati Uniti, nella Camera dei comuni britannica, nell’Assemblea nazionale francese e nel Bundestag tedesco, il partito di governo e l’opposizione possono scambiarsi accuse feroci, ma tutti sanno che il nemico di oggi può diventare l’alleato di domani. Il nemico di cui parla lo studioso bulgaro, invece, è una entità diabolica, una minaccia permanente che presenta per il regime almeno due vantaggi: permette di dirottare i malumori delle masse contro un altro e di attribuirgli la responsabilità di tutte le promesse non mantenute e degli obiettivi non raggiunti.
Nella Russia sovietica e in altri Stati comunisti, questo ruolo fu attribuito al «nemico di classe», sobillato dal fascismo e dal capitalismo internazionale; nell’Italia fascista e nei regimi autoritari o totalitari del periodo fra le due guerre, al complotto giudeo-massonico; nella Germania nazista all’ebraismo e al bolscevismo, che erano per Hitler due volti di una stessa medaglia.
È certamente vero, tuttavia, caro Tondi, che una certa sindrome del nemico, anche se meno perniciosa, può esistere anche in un sistema democratico. Nella Francia repubblicana, dopo la sconfitta di Sedan nel 1870, il nemico fu la Germania e il desiderio della riscossa divenne una sorta di fissazione nazionale; a tal punto che un grande uomo politico francese di origine italiana, Léon Gambetta, raccomandò ai suoi connazionali di «pensarci sempre e non parlarne mai». In Italia il nemico secolare, fino alla Grande guerra, fu l’Austria. Lo Stato italiano era membro della Triplice, quindi alleato dell’Austria-Ungheria e della Germania, ma il governo tollerava le manifestazioni irredentiste di fronte ai consolati austriaci; e più tardi, alla vigilia della Grande guerra, il mito del «nemico secolare» servì a meglio giustificare il salto di campo dalla Triplice alla Intesa franco-britannica. In questi ultimi tempi, soprattutto in alcuni Paesi della Europa meridionale, il ruolo del nemico è stato assegnato alla Germania, accusata di predicare un eccessivo rigore e di essersi arricchita a nostre spese. È una brutta leggenda che l’ultimo incontro fra Merkel e Renzi sembra avere dissipato e smentito.